VA ANNULLATO IL TITOLO EDILIZIO RILASCIATO SULLA RAPPRESENTAZIONE DI FATTI NON CORRISPONDENTI AL VERO

annullamento titolo edilizio

Ė illegittima la Dia non veritiera e non corredata da pareri e documenti essenziali; va quindi annullato il titolo edilizio rilasciato sulla base di una rappresentazione dei fatti da parte del privato non corrispondente alla realtà (Cons. Stato, sentenza n. 257/2023)

Non è idonea a determinare un cambio di destinazione d’uso d’immobile una Dia, che si fondi su dichiarazioni non veritiere e che, quindi, difetti del parere della Sopritendenza, ove l’immobile predetto rientri nella Carta per la qualità del PRG (Edificio con tipologia edilizia speciale – ad impianto seriale – convento”) e difetti altresì della documentazione essenziale richiesta (dichiarazione di inizio lavori, allegazione della documentazione relativa al calcolo degli oneri per il cambio d’uso e loro pagamento).

Se la finalità di un termine, perché l’Amministrazione proceda ad annullamento d’ufficio, è la tutela dell’affidamento del privato, questa non può sussistere ove consegua ad una rappresentazione non corrispondente alla realtà; né può rilevare la generale presunzione di legittimità degli atti amministrativi, ove questi siano la conseguenza della medesima rappresentazione non veritiera da parte del privato (Consiglio di Stato, sentenza n. 257/2023).

La vicenda

Una società ha impugnato la sentenza di reiezione del suo ricorso avverso il provvedimento che aveva annullato la Dia presentata dalla stessa nel 2015 per il cambio di destinazione d’usoda residenziale a turistico ricettivo – di un immobile.

La dichiarazione di inizio attività è stata annullata in autotutela con determina del 2019, perché il relativo intervento difettava del parere della Sovrintendenza capitolina, come richiesto dalle NTA del PRG, trattandosi di immobile rientrante nella Carta per la qualità del PRG: “Edificio con tipologia edilizia speciale – ad impianto seriale – convento”.

L’amministrazione rilevava la mancanza, tra gli atti che corredavano la Dia, della comunicazione di avvio dei lavori e delle indicazioni necessarie al calcolo degli oneri per cambio d’uso, e, comunque, l’insussistenza dei presupposti per tale cambio.

Il provvedimento veniva impugnato innanzi al Tar del Lazio per violazione dell’art. 21-nonies della legge n. 241/1990.

Si contestava, in particolare, la tesi dell’Amministrazione comunale, secondo cui la destinazione d’uso turistico-ricettiva dei piani secondo, terzo e quarto dell’immobile, realizzata con dia del 2015, non avrebbe rispettato il rapporto tra superficie utile lorda destinata ad uso turistico ricettivo (70%) e superficie utile lorda dell’unità edilizia nel suo complesso, previsto dall’art. 25, comma 1, delle NTA del PRG.

La società ricorrente osservava, al riguardo, che già prima della presentazione della Dia in questione, i detti piani dell’immobile vantavano la destinazione “turistico-ricettiva”, di cui alla categoria funzionale indicata dall’art. 23 ter, comma 1, lett. a-bis) D.P.R. n. 380/2001, e non abitativa (come pretendeva Roma capitale).

Secondo la ricorrente, l’immobile non rientrava, poi, nella Carta per la qualità del PRG (Edificio con tipologia edilizia speciale – ad impianto seriale – convento), pertanto non era necessario il parere della Soprintendenza.

Inoltre, la dichiarazione di inizio dei lavori doveva ritenersi implicita nella presentazione della Dia.

Nel 2019, pendente il giudizio di primo grado, la società, con specifica nota, presentava scia finalizzata all’accertamento di conformità per cambio di uso da residenziale a turistico ricettivo e diversa distribuzione degli spazi interni, chiedendone tuttavia, successivamente, l’archiviazione/annullamento con ulteriore nota posteriore alla precedente.

Nel novembre del 2019, la società integrava la Dia presentata nel 2015, allegando sia il parere favorevole della Sovrintendenza capitolina sia la documentazione concernente il calcolo e il pagamento degli oneri per il cambio d’uso.

Con nota del febbraio 2020, il Comune pur avendo preso atto dell’archiviazione/annullamento della scia, comunicava la nullità ed inefficacia della nota con cui si intendeva integrare l’originaria Dia, vista la nota di annullamento della suddetta, notificata nell’aprile del 2019.

Anche tale provvedimento veniva impugnato dalla ricorrente con motivi aggiunti, avendo l’Amministrazione nuovamente omesso di considerare che le unità abitative ubicate ai piani 2°, 3° e 4° dell’immobile erano già da diversi anni adibite ad attività ricettiva extralberghiera. Peraltro, anche le unità immobiliari site al piano terra e al primo piano erano destinate ad attività ricettiva alberghiera; perciò, risultava integrato il presupposto della destinazione di almeno il 70% dell’immobile, nel suo complesso, alle attività predette. Con ulteriori motivi aggiunti, veniva poi impugnato il provvedimento dell’Amministrazione dell’ottobre 2020, con il quale veniva medio tempore disposta la decadenza dai benefici derivanti dalla scia, presentata nell’ottobre 2018, relativa all’esercizio dell’attività alberghiera.

L’Amministrazione produceva in giudizio una relazione della – Direzione Tecnica – Servizio Edilizia, nella quale si puntualizzava che la destinazione d’uso delle abitazioni adibite ad affittacamere – quali erano i piani secondo, terzo e quarto dell’immobile considerato – rimaneva “residenziale”, anche sulla base del Regolamento regionale del Lazio nr. 8/2015.

Pertanto, l’originaria destinazione delle unità immobiliari concesse in locazione alla società ricorrente era incompatibile con le condizioni che, a norma dell’art. 25 delle NTA del NPRG del Comune, consentivano il mutamento di destinazione d’uso, le quali implicavano una destinazione “urbanistica” di tipo alberghiero (come definita dall’art. 6, comma 1, delle NTA, che distingue tra destinazioni abitative e turistico-recettive), da escludersi nel caso di specie.

La società, con motivi aggiunti, impugnava anche la suddetta relazione, insistendo, tra l’altro, sulla circostanza che la destinazione ad attività di affittacamere avrebbe integrato le condizioni richieste dalle NTA.

Il Tar , in primo grado, rigettava l’articolata domanda della ricorrente, precisando che “i profili procedimentali sono dunque da respingersi, anche in relazione ai vizi di partecipazione al procedimento (che comunque non sussistono, risultando in atti i necessari atti di invito a dedurre) che sono recessivi atteso il carattere strettamente vincolato dell’esito del procedimento stesso”.

Avverso tale pronuncia ha proposto appello la società soccombente in primo grado, riproponendo le medesime doglianze e rimarcando il fatto che l’annullamento d’ufficio della Dia, presentata nel 2015, sarebbe tardivo ex art. 21-nonies della legge n. 241/1990, anche in base a quanto sancito dalla Corte costituzionale, con la sent. n. 45/2019, essendosi consumato il potere dell’amministrazione, dopo il decorso del termine di 18 mesi (Ndr: applicabile ratione temporis, essendo ora richiesti, com’è noto, 12 mesi), e, per l’effetto, essendosi consolidata la situazione soggettiva del privato e il suo legittimo affidamento.

La decisione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato ha respinto le predette doglianze, premettendo che l’atto di annullamento della Dia, a suo tempo presentata dall’appellante, è plurimotivato, sicché, una volta accertata la legittimità di uno dei motivi di esclusione, può prescindersi dalla disamina degli altri (cfr. ex plurimis, Cons. Stato, Sez. V, 22 luglio 2017, n. 5473)” (così, fra le più recenti, Cons. Stato, Sez. II, n. 9402/2022).

Ė stato anche evidenziato che “se la finalità di un termine per l’Amministrazione all’annullamento è la tutela dell’affidamento del privato, questa non può sussistere ove consegua ad una rappresentazione non corrispondente alla realtà; né può rilevare la generale presunzione di legittimità degli atti amministrativi, ove questi siano la conseguenza della medesima rappresentazione non veritiera” (Cons. Stato, Sez. VI, n. 4959/2022).

Inoltre, come rilevato dall’Adunanza Plenaria n. 8/2017, “in caso di titoli abilitativi rilasciati sulla base di dichiarazioni oggettivamente non veritiere (e a prescindere dagli eventuali risvolti di ordine penale), laddove la fallace prospettazione abbia sortito un effetto rilevante ai fini del rilascio del titolo, è parimenti congruo che il termine ‘ragionevole’ decorra solo dal momento in cui l’amministrazione ha appreso della richiamata non veridicità.

Il provvedimento, che ha dichiarato la nullità della Dia del 2015, è sorretto da motivazione plurima, facendo espresso riferimento: all’assenza del parere della Sovrintendenza capitolina, alla dichiarazione secondo cui “l’immobile non è individuato nella Carta per la qualità” del PRG (affermazione non veritiera), al mancato rispetto del rapporto tra superficie utile lorda destinata alla funzione turistico ricettiva e superficie utile lorda dell’unità edilizia (ai sensi dell’art. 25, comma 15, delle NTA), alla mancanza della dichiarazione di inizio lavori, alla mancata allegazione della documentazione relativa al calcolo degli oneri per il cambio d’uso e al loro pagamento.

Il Tar aveva respinto il ricorso, ritenendo che le unità immobiliari, di cui la società richiedeva il cambio di destinazione, avendo mantenuto la finalità “residenziale”, per quanto già da tempo adibite all’attività di affittacamere, non potessero essere utilmente considerate ai fini del raggiungimento della soglia del 70% della superficie “ricettiva” rispetto alla superficie utile lorda complessiva dell’immobile, ai sensi dell’art. 25 delle NTA.

Ma il Consiglio di Stato ha rilevato che l’art. 25 delle NTA consente, al comma 14, la possibilità della destinazione turistico-ricettiva nell’area della Città storica “limitatamente alle ‘strutture ricettive alberghiere ed extra-alberghiere’ (esclusi i motel)”, stabilendo al successivo comma 15 che “Nei Tessuti da T1 a T5 e nel Tessuto T6 ricadente nei Municipi I e XVII, il cambio di destinazione d’uso da funzioni abitative ad altre funzioni è ammesso solo per i piani seminterrati, piani terra e mezzanini; è ammesso altresì negli altri piani, al solo fine di consentire l’ampliamento delle destinazioni a ‘strutture ricettive alberghiere ed extra-alberghiere’, a condizione che occupino, prima dell’ampliamento, almeno il 70% della superficie utile lorda dell’Unità edilizia”.

In altri termini, nell’area interessata dall’immobile oggetto della controversia, la trasformazione in questione è di norma ammessa per i piani seminterrati, i piani terra ed i mezzanini, mentre per gli altri piani il cambio di destinazione è consentito esclusivamente per ampliare le strutture ricettive di tipo sia alberghiero, sia extralberghiero, a condizione che l’immobile sia già “occupato” per dette finalità per almeno il 70% della superficie utile lorda.

L’odierna appellante già esercitava l’attività alberghiera al piano terra ed al primo piano dell’immobile sulla base di scia all’uopo presentata nel luglio 2013 e volturata nel maggio 2014; nei piani dal secondo al quarto dell’immobile medesimo, da diversi anni, veniva esercitata l’attività extralberghiera di affittacamere da parte di altre società, che nel 2014 avevano ceduto i relativi rami d’azienda all’appellante.

Perciò, il piano terra ed il primo piano erano già dal 2013 destinati all’esercizio dell’attività alberghiera ed i piani secondo, terzo e quarto dell’immobile erano a loro volta già da diversi anni adibiti all’attività ricettiva, sia pure nella tipologia extralberghiera di affittacamere. In altri termini, anche detti piani erano già “occupati” da tempo per dette attività.

Alla luce di tali complessive considerazioni, diversamente dalle conclusioni al riguardo rassegnate dal T.a.r, il Consiglio di Stato ha ritenuto ragionevolmente sussistente il presupposto dell’occupazione di almeno il 70% della superficie utile lorda dell’immobile da parte di “strutture ricettive alberghiere ed extralberghiere”, previsto dall’art. 25, comma 15, delle NTA, con la conseguenza che le relative censure dell’appellante, per questo profilo, sono state accolte. Tuttavia, non solo la Dia presentata dalla società nel 2015 non era completa, risultando mancante la documentazione innanzi richiamata, ma la stessa società aveva affermato che l’immobile interessato dall’intervento non rientrava nella Carta per la qualità del PRG, circostanza questa specificamente evidenziata nel provvedimento di annullamento d’ufficio della Dia medesima, laddove veniva precisato che “nella Relazione Tecnica asseverata allega[ta] alla D.I.A. in oggetto è stato dichiarato a pag. 6 che l’immobile non è individuato nella Carta per la qualità”.

In effetti, l’appellante non aveva prodotto la dichiarazione di inizio dei lavori (peraltro, l’art. 15, comma 2, D.P.R. n. 380/2001 prevede la decadenza del titolo qualora, decorso il termine di un anno dal rilascio dello stesso, i lavori non siano iniziati).

Aveva trasmesso al Comune il parere della Sovrintendenza e la documentazione relativa agli oneri di urbanizzazione solo nel novembre 2019, vale a dire diversi mesi dopo l’emanazione del provvedimento impugnato dell’aprile 2019 e quindi a procedimento già concluso. L’integrazione documentale era quindi intervenuta a supporto di una Dia già oggetto di diniego.

Quanto all’affermazione secondo cui l’immobile interessato dall’intervento non rientrava nella Carta per la qualità, il Consiglio di Stato conviene con quanto sostenuto dall’Amministrazione, secondo cui si trattava di una dichiarazione (oggettivamente) non veritiera.

Tale circostanza, che la stessa appellante sostanzialmente ha riconosciuto, addebitandola tuttavia ad un “mero refuso, come tale palesemente irrilevante”, ha prodotto in realtà effetti tutt’altro che irrilevanti ai fini dell’istruttoria della pratica da parte dell’Amministrazione, dal momento che l’art. 16, comma 1, lett. c), delle NTA prevede espressamente, all’ultimo periodo, che “nei casi di progetti da abilitarsi tramite Dia, il parere della Sovrintendenza comunale è acquisito dal soggetto attuatore preventivamente alla presentazione della Dia e ne correda gli elaborati”.

Ai sensi del comma 2 bis art. 21-nonies l. 241/1990, è apparso pertanto legittimo l’annullamento in autotutela della Dia da parte dell’Amministrazione, anche oltre il termine di diciotto mesi (ora dodici) previsto dal comma 1 del medesimo articolo.

Alla luce delle predette considerazioni, il Consiglio di Stato ha concluso per l’insussistenza di un titolo edilizio idoneo alla trasformazione della destinazione d’uso oggetto della controversia.

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Tratto da Legislazione Tecnica