ESENZIONE IMU FABBRICATI RURALI: COME OTTENERE IL VANTAGGIO FISCALE

Quando si possiede un immobile, una delle domande più frequenti riguarda la possibilità di ottenere l’esenzione dal pagamento dell’IMU (Imposta Municipale Propria). Oltre che per l’abitazione principale (ossia la casa di residenza abituale), l’esonero è concesso anche per gli immobili rurali.
Normativa fiscale e agevolazioni IMU
Analizzando la normativa fiscale e le agevolazioni IMU per tutti i comproprietari di fabbricati rurali, con riferimento alle più recenti sentenze della Cassazione e le circolari del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), appare chiaro che l’accatastamento gioca un ruolo essenziale per ottenere l’esenzione o la riduzione dell’imposta.
Funzionamento dell’IMU sugli immobili rurali
L’IMU è un’imposta comunale che si applica al possesso di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli. Per gli immobili rurali, la tassazione IMU presenta alcune peculiarità:
- Fabbricati rurali strumentali: utilizzati per attività agricole (es. stalle, fienili). L’aliquota IMU è ridotta allo 0,1%, ma il Comune può azzerarla.
- Fabbricati rurali abitativi: abitazioni in contesti rurali. Se costituiscono l’abitazione principale dell’agricoltore, sono esenti dall’IMU; altrimenti, sono soggetti all’imposta ordinaria.
Requisiti di ruralità per l’esenzione IMU
I requisiti di ruralità, stabiliti dall’articolo 9 del Decreto Legge 557/1993, determinano la possibilità di agevolazioni o esenzioni IMU. In generale, un fabbricato deve:
- Essere utilizzato per attività agricola (fabbricati strumentali).
- Essere l’abitazione principale dell’agricoltore (fabbricati abitativi).
- Non essere classificato come immobile di lusso (categorie catastali A/1, A/8 e A/9).
Accatastamento per l’esenzione IMU
L’accatastamento è fondamentale per determinare l’esenzione o la riduzione dell’IMU. Con l’ordinanza n. 3059/2025, la Cassazione ha sottolineato che l’esenzione dall’IMU per gli immobili rurali dipende strettamente dalla loro classificazione catastale. Secondo l’art. 9 del D.L. 557/1993, un fabbricato è considerato rurale solo se è registrato nelle categorie A/6 (abitazioni rurali) o D/10 (immobili strumentali).
Qualora un immobile sia classificato in una categoria diversa, il contribuente che intende ottenere l’esenzione deve contestare l’atto di classamento. In caso contrario, l’immobile rimane soggetto all’imposta. Anche il Comune, per opporsi all’esenzione, deve impugnare la classificazione catastale assegnata.
Nel caso di specie era emersa l’esistenza di una società agricola tra il ricorrente e i familiari che gestivano l’azienda agricola, confermando l’inserimento del fabbricato e delle aree pertinenziali nel fascicolo aziendale. Il fabbricato, quindi, classificato in categoria D/10, risultava rurale e le aree pertinenziali erano state considerate nella rendita catastale. La Cassazione ha stabilito che i fabbricati classificati come “rurali” (categoria A/6 per le unità abitative, categoria D/10 per gli immobili strumentali) non sono soggetti a imposta.
Procedura di accatastamento
Facciamo un esempio pratico. Un agricoltore possiede un’abitazione utilizzata come residenza principale ma accatastata erroneamente come A/2 (abitazione civile) anziché A/6 (abitazione rurale). Per ottenere l’esenzione IMU, l’agricoltore dovrà:
- Presentare un’istanza all’Agenzia delle Entrate per richiedere la variazione della categoria catastale.
- In caso di rifiuto, presentare ricorso alla Corte di Giustizia Tributaria.
Se il ricorso viene accolto, l’immobile sarà correttamente accatastato come A/6 e l’agricoltore avrà diritto all’esenzione IMU.
Recenti sentenze sulla classificazione catastale
La giurisprudenza più recente (Cassazione 578/2025) conferma l’importanza della classificazione catastale. La ruralità di un fabbricato si riflette direttamente nella sua categoria catastale, determinando l’esclusione o meno dall’IMU.
Immobili di lusso e IMU
Ai sensi dell’articolo 9, comma 3, lettera e) del Dl 557/1993, gli immobili di lusso (categorie A/1, A/8 e A/9) non possono essere considerati rurali e quindi non possono beneficiare dell’esenzione IMU.
Proprietà condivisa e agevolazioni IMU
Le agevolazioni IMU per terreni agricoli e fabbricati rurali si applicano anche ai comproprietari, pur non essendo coltivatori diretti (CD) o imprenditori agricoli professionali (IAP). La Cassazione ha stabilito questo con ordinanza n. 1919/2025. Le agevolazioni fiscali riguardano tutti i comproprietari, riflettendo la natura “oggettiva” del beneficio fiscale anche per coloro che non hanno la qualificazione di CD o IAP.
LA SENTENZA
Riconoscimento del carattere di ruralità degli immobili ai fini
dell’esenzione dell’IMU
Cass. Sez. Trib. 3 gennaio 2025, n. 91 ord. – Perrino, pres.; Balsamo, est. – Comune di Peschiera Borromeo (avv. Tallini)
c. Ch.An. (avv.ti Napolitano e Militerno). (Dichiara inammissibile Comm. trib. reg. Lombardia 17 febbraio 2022)
Imposte e tasse – IMU – Riconoscimento del carattere di ruralità degli immobili.
(Omissis)
FATTO
- Ch.An. impugnava l’avviso di accertamento Imu n. (Omissis), relativo all’anno di imposta 2013, che disconosceva il
carattere di ruralità degli immobili posseduti pro quota da Ch.An. ed affermava l’edificabilità delle relative aree contigue.
La Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con sentenza n. 1755/11/20, respingeva il ricorso con sentenza che
veniva appellata dal contribuente.
Con la sentenza n. 542/2022, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, accoglieva parzialmente l’appello,
riconoscendo l’esenzione dell’imposta Imu nella misura di 1/3 del fabbricato catalogato in classe D/10, con le relative
pertinenze.
Secondo il giudice di secondo grado “il contribuente ha dimostrato nel ricorso introduttivo che l’attività agricola veniva
effettivamente svolta, indipendentemente da quanto ha continuato ad asserire il Comune e fatto proprio dalla CTP: la
documentazione prodotta nel ricorso introduttivo (allegati 4-5-6-7 del ricorso introduttivo) attesta inequivocabilmente
l’esercizio di una attività agricola. È stato dimostrato l’esistenza di una società agricola tra il ricorrente e i familiari che
gestiva – e gestisce – l’azienda agricola; è stato dimostrato che il fabbricato rurale – con le relative aree pertinenziali già
considerate nella relativa rendita catastale – è stato inserito nel fascicolo aziendale (il documento per eccellenza attestante
l’esercizi odi una attività agricola) pertanto il fabbricato classificato in categoria D/10 è a tutti gli effetti rurali e le aree
sono interamente pertinenziali (delle stesse ne è stato tenuto conto nella determinazione della rendita catastale). Si tratta
infatti di area all’epoca classificata nella categoria catastale D/10 relativa a fabbricati per funzioni produttive connesse
alle attività agricole come del resto esplicitamente indicato negli avvisi di accertamento. L’arresto giurisprudenziale delle
SSUU di Cassazione hanno stabilito che qualora un fabbricato sia stato catastalmente classificato come “rurale” (categoria
A/6 per le unità abitative, categoria D/10 per gli immobili strumentali alle attività agricole) non deve scontare imposta
alcuna”.
Il Comune di Peschiera Borromeo ricorre sulla base di due motivi per la cassazione della summenzionata decisione.
Replica con controricorso il contribuente.
L’ente locale ha depositato memorie difensive in prossimità dell’adunanza.
DIRITTO - Il primo motivo deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti,
in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5), c.p.c.; per avere la Commissione tributaria regionale, nel riconoscere
l’esenzione dall’imposta, omesso di esaminare plurimi fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione
tra le parti rappresentati dalla denuncia di inizio attività, concernente l’intervento di demolizioni dei fabbricati per
l’attuazione del Piano di recupero della Cascina Monasterolo, nonché dall’autorizzazione dirigenziale, sottoscritta dal
direttore del settore parco agricolo sud Milano, avente ad oggetto “interventi di completamento del piano di recupero della
Cascina Monasterolo da cui risultano gli interventi finalizzati a trasformare gli edifici rurali dismessi presenti nel
complesso in residenziali, previa demolizione del capannone prefabbricato, risalente agli anni novanta, nonché la
realizzazione di un nuovo corpo residenziale ed infine la relazione paesaggistica e storico descrittiva dell’intervento
residenziale che controparte intendeva realizzare. - Con il secondo motivo si prospetta l’erronea valutazione della prova in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5),
c.p.c. nella parte il cui i giudici distrettuali hanno statuito che “è stato dimostrato che il fabbricato rurale – con le relative
aree pertinenziali già considerate nella relativa rendita catastale – è stato inserito nel fascicolo aziendale (il documento
per eccellenza attestante l’esercizio di una attività agricola)”.
Viceversa, si assume che nel fascicolo aziendale – allegato agli atti – non v’è alcun cenno all’odierno fabbricato rurale di
cui controparte richiede l’esenzione dall’imposta. - Il ricorso non supera il vaglio di ammissibilità.
3.1. Entrambe le censure attingono solo una delle due rationes decidendi che fondano la sentenza impugnata, in quanto
concernendo la rilevanza e decisività della documentazione prodotta dal Comune nel giudizio di merito al fine di rivelare la perdita del carattere della ruralità dei cespiti di proprietà di Ch.An. e, in particolare, il secondo motivo, deducendo il travisamento della prova, vale a dire la dispercezione del contenuto del fascicolo aziendale, trascurano di attingere la parte della motivazione secondo la quale rileva, ai fini del riconoscimento della ruralità e dunque dell’esenzione, la classificazione catastale in categoria D/10.
Il collegio d’appello ha difatti motivato l’accoglimento del gravame non solo ” in quanto la documentazione prodotta
attesta inequivocabilmente l’esercizio di una attività agricola l’esistenza di una società agricola tra il ricorrente e i familiari
che gestiva – e gestisce – l’azienda agricola; il fabbricato rurale – con le relative aree pertinenziali già considerate nella
relativa rendita catastale – è stato inserito nel fascicolo aziendale (il documento per eccellenza attestante l’esercizio di una
attività agricola) l’azienda agricola è gestita dalla società agricola “Ch.”, costituita nel 1979, società svolgente
attività agricola ed i cui soci sono coltivatori diretti”, bensì riconoscendo la ruralità dei fondi – ivi comprese le aree
pertinenziali di cui al foglio 51 mappale 11 sub 701 – in quanto classificati nella categoria catastale D/10, relativa a
fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole, all’uopo citando l’arresto giurisprudenziale delle SSUU
di Cassazione le quali hanno stabilito che qualora un fabbricato sia stato catastalmente classificato come “rurale”
(categoria A/6 per le unità abitative, categoria D/10 per gli immobili strumentali alle attività agricole) non deve scontare
imposta alcuna.
Ebbene, l’amministrazione comunale di Peschiera Borromeo non ha attinto con il ricorso per cassazione questa seconda
ratio decidendi, limitandosi a voler suffragare con la documentazione prodotta in giudizio la perdita della ruralità; e che
si tratti di autonoma ragione del decidere, diversamente da quanto obiettato dal Comune in memoria, emerge giustappunto
dall’indirizzo di legittimità inaugurato dalle S.U. n. 18565 del 2009 e richiamato nella sentenza d’appello, secondo cui, ai
fini del trattamento esonerativo, è dirimente l’oggettiva classificazione catastale con attribuzione della relativa categoria
(A/6 per le unità abitative, o D/10 per gli immobili strumentali); sicché l’immobile che sia stato iscritto come “rurale”, in
conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 9 del D.L. 30 dicembre 1993, n. 557 (conv. in legge
26 febbraio 1994, n. 133) non è soggetto all’imposta, ai sensi dell’art. 23 comma 1 bis del D.L. 30 dicembre 2008, n.
207 (conv. in legge 27 febbraio 2009, n. 14) e dell’art. 2, comma 1, lett. a), del D.Lgs. 30 dicembre 1992 n. 504; – per
converso, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale (di non ruralità), è onere del contribuente, che
invochi l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato, restandovi
altrimenti quest’ultimo assoggettato; – allo stesso modo, il Comune deve impugnare autonomamente l’attribuzione della
categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’Ici.
L’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve essere impugnata specificamente dal contribuente che
pretenda la non soggezione all’imposta per la ritenuta ruralità del fabbricato, restando altrimenti quest’ultimo assoggettato
ad ICI: allo stesso modo il Comune dovrà impugnare l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10 al fine di potere
legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta”.
A tale orientamento hanno fatto seguito innumerevoli pronunce di legittimità (Cass. nn. 7102/10; 8845/10; 20001/11;
19872/12; 5167/14; più recentemente confermate da Cass. n. 16737/15, Cass. n. 2116/2017; Cass. n. 31239/2017; Cass.
n. 11085/2019; Cass. n. 10381/2022; Cass. n. 9496/2024).
4.Orbene, è noto che, in tema di impugnazioni, qualora la sentenza del giudice di merito si fondi su più ragioni autonome,
ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggere la decisione, l’omessa impugnazione, con ricorso
per cassazione, anche di una soltanto di tali ragioni (o il rigetto della relativa doglianza) determina l’inammissibilità, per
difetto di interesse, anche del gravame proposta avverso le altre, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso non
inciderebbe sulla ratio decidendi non censurata, con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe, pur sempre,
fondata su di essa. Pertanto, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa)
che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della
pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito
positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinché si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di
impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, in toto o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che
autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia
formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perché il ricorso o il motivo di
impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per
difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (S.U. n. 20107
del 2024; Cass. n. 5102/2024; Cass. n. 13880 del 2020; Cass. n. 11493/2018; in senso analogo già Cass. Sez. Un. del 29
marzo 2013, n. 7931; Cass. del 14 febbraio 2012, n. 210; Sez. U. n. 16602 del 08/08/2005).
5.Segue l’inammissibilità del ricorso e la condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater del D.P.R. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da
parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a
norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte
Dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Comune; condanna parte ricorrente alla refusione delle spese sostenute dal contribuente che liquida in Euro 3.000,00, per compensi, oltre 200,00 Euro per esborsi, oltre rimborso forfettario pari al 15% ed accessori come per legge.
Visto l’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dalla legge n. 228 del 2012; – dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1 bis dello stesso art.13, se dovuto.
(Omissis)