CAPPOTTO TERMICO E DECORO ARCHITETTONICO: LA SENTENZA

Cappotto termico e decoro architettonico

Prima di procedere con l’installazione di un cappotto termico, è importante valutare attentamente l’impatto estetico che potrebbe avere sull’edificio e cercare soluzioni che si integrino meglio con le caratteristiche architettoniche preesistenti.

Secondo la Cassazione (ordinanza 17920/2023), l’installazione di un cappotto termico per migliorare l’efficienza energetica di un immobile può essere limitata se compromette il decoro architettonico del condominio.

Nel caso specifico, la parete esterna dell’appartamento presentava delle disomogeneità rispetto al resto della facciata dell’edificio a causa dell’installazione del cappotto termico. La decisione della Cassazione implica che, pur essendo importante promuovere l’efficientamento energetico degli edifici, è necessario anche salvaguardare l’aspetto estetico e architettonico delle strutture condominiali. Questo significa che, prima di procedere con l’installazione di un cappotto termico, è importante valutare attentamente l’impatto estetico che potrebbe avere sull’edificio e cercare soluzioni che si integrino meglio con le caratteristiche architettoniche preesistenti.

In generale, la decisione della Cassazione mette in rilievo l’importanza di bilanciare l’efficienza energetica con il rispetto per l’aspetto estetico degli edifici condominiali, al fine di preservarne l’aspetto complessivo e la coerenza architettonica.

IL FATTO

Il caso trattato dalla Cassazione e riportato dal Sole 24 Ore ha riguardato “Una condòmina che ha citato in giudizio il vicino per ottenere la rimessione in pristino dell’edificio dalle opere da lui realizzate consistenti nella trasformazione di luci in vedute, nell’abusiva realizzazione di una fognatura e nell’indebito allargamento di uno spazio di isolamento, edificato in danno della condomina, sconfinando nella sua proprietà”. 

Il vicino citato in giudizio ha negato di avere compiuto tali opere e ha presentato domanda riconvenzionale con la quale ha spiegato “che le opere illegittime erano state invece realizzate proprio dalla sua vicina, opere che stravolgevano la facciata con la copertura ad intonaco e il cambiamento degli infissi” e ne ha chiesto la rimozione, “anche se le opere erano state autorizzate dal Comune”. 

Se il Tribunale in primo grado, come sottolineato dal Sole 24 Ore, ha riconosciuto le ragioni della condomina, la Corte di appello ha riformato la sentenza e ha ordinato la riduzione in pristino dell’esterno del fabbricato. Secondo la Corte di appello, doveva essere tolta la copertura con intonaco e doveva essere ripristinato l’originario stato con pietre a vista, questo perché “la copertura con intonaco della metà superiore della palazzina era una innovazione, che avrebbe richiesto il consenso dell’altro condòmino vicino, essendo tale da alterare il decoro architettonico dell’edificio”.

Sul caso si è poi espressa la Cassazione, che con l’ordinanza 17290/2023 ha rigettato il ricorso della proprietaria, in particolare con riferimento al rifacimento dell’intonaco che aveva riguardato “le sole parti dell’edificio in cui insisteva la sua abitazione, con la costruzione di un cappotto termico, per l’efficientamento energetico della struttura”.

Secondo la Cassazione, “nonostante la condomina sottolineasse che le facciate dei due piani si sarebbero presentate sin dall’origine non omogenee, il pregiudizio all’aspetto estetico dell’edificio era evidente e l’intervento di efficientamento energetico non bastava a giustificarlo”. Non era stata tutelata l’armonia e l’unità delle linee di stile, “rilevante anche per i fabbricati che non rivestono particolare pregio artistico o estetico”.

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