LE POLITICHE EUROPEE SUGLI IMMOBILI IN ITALIA: LA DIRETTIVA ENERGETICA

casa “green”

La proposta di revisione della direttiva Ue sulle prestazioni energetiche degli edifici, conosciuta in Italia con il nome di direttiva sulle “case green”, sarà votata dalla plenaria del Parlamento europeo nella sessione di Strasburgo dal 13 al 16 marzo

Gli obiettivi principali della direttiva sono la riduzione sostanziale delle emissioni di gas a effetto serra e del consumo di energia nel settore edilizio dell’Ue entro il 2030, per poi arrivare alla “neutralità climatica” (zero emissioni nette) entro il 2050. Gli edifici nell’Ue sono oggi responsabili del 40% del consumo energetico e del 36% delle emissioni di gas serra. La direttiva in sé non è nuova, esisteva già: a essere attualmente in corso è appunto il suo processo di revisione che, nel contesto del pacchetto Fit for 55, ha lo scopo di adeguare la normativa energetica europea ai nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni al 2030 e di neutralità climatica al 2050. Gli edifici che abitiamo sono una delle principali fonti di consumo energetico, che però può cambiare significativamente da caso a caso: dipende dalla classe di efficienza energetica di appartenenza.

Reso graficamente come una scala cromatica crescente che va dalla barra verde A fino alla rossa G obbligatoria per legge dal 2005, questo sistema di classificazione, usato anche per molti elettrodomestici, serve sostanzialmente a indicare in modo intuitivo l’efficienza energetica. Se la classe energetica di un immobile è alta (la migliore è la A4), ci sarà un minore consumo di energia nell’abitazione e, di conseguenza, anche una riduzione dell’impatto sull’ambiente e della spesa a carico degli utenti, un punto particolarmente importante in un periodo caratterizzato da difficoltà economiche e aumento generalizzato dei costi. La povertà energetica, ossia la difficoltà ad acquistare un paniere minimo di beni e servizi energetici, come il riscaldamento, secondo Enea nel 2021 interessava l’8,8 per cento delle famiglie italiane.


Performance energetica delle case: la situazione in Europa

La classificazione dell’efficienza energetica in ambito residenziale in Italia prevede oggi dieci fasce (dalla A4 alla G). Per calcolarla si tengono in considerazione diversi parametri: le caratteristiche strutturali, la tipologia di infissi e serramenti, la stima dei consumi energetici in relazione alle condizioni climatiche standard, il sistema di riscaldamento installato, il livello di isolamento termico. Al termine dell’analisi si ha un’idea di quanta energia (rinnovabile e/o non rinnovabile) un’abitazione consumerà in un anno per i cosiddetti bisogni primari, ovvero riscaldamento, raffreddamento, ventilazione, preparazione dell’acqua calda per usi sanitari e, nel caso di edifici del settore terziario, scale mobili, ascensori e via dicendo. In un anno una casa in classe energetica A consuma meno di trenta kilowattora (kWh) per metro quadro, una in classe energetica G invece più di centosessanta kWh per metro quadro. La classe energetica di un edificio può essere ovviamente migliorata in molti modi: sostituendo gli impianti datati con altri più efficienti, cambiando gli infissi in modo tale che trattengano maggiormente il calore, installando un impianto fotovoltaico domestico con sistema di accumulo. Insomma, per migliorare la performance energetica di un edificio bisogna in qualche modo ristrutturarlo. Proprio per favorire questo tipo di interventi e per raggiungere gli obiettivi climatici europei, la Commissione europea nell’ottobre 2020 pubblicava la strategia Ondata di ristrutturazioni. Gli edifici nell’Unione europea consumavano allora circa il quaranta per cento dell’energia e rilasciavano il trentasei per cento delle emissioni di gas serra associate all’energia, ma soltanto l’uno per cento di questi immobili ogni anno era sottoposto a lavori di ristrutturazione a fini di efficientamento energetico: da qui l’obiettivo europeo di «almeno raddoppiare» entro il 2030 questi tassi di ristrutturazione. Significa intervenire su circa trentacinque milioni di edifici. Secondo le stime della Commissione europea, il raggiungimento di questo obiettivo comporterebbe una riduzione delle emissioni di gas serra degli edifici del sessanta per cento.


Prestazione energetica degli edifici: cosa cambia con la revisione

Un punto chiave della strategia Ondata di ristrutturazioni è la già citata revisione della direttiva sulla prestazione energetica degli edifici: la bozza è stata votata il 9 febbraio 2023. Cosa prevede la revisione della direttiva e in che modo cambierebbe la situazione italiana? Prima di tutto, la proposta della Commissione europea parte dalla necessità di rivedere le classi energetiche attualmente esistenti, introducendo dei criteri comuni a tutti gli Stati membri. Si parla in particolare di istituire classi energetiche chiuse dalla A alla G: è di fatto la situazione italiana, dunque, ma non quella di altri Paesi dell’Unione europea, dove le classiche energetiche sono più o meno numerose oppure non sono chiuse. Come illustrato nell’articolo sedici, poi, l’idea è quella di fissare il punto più alto e quello più basso di queste classi energetiche. Nella fascia più alta, la A, rientrano gli immobili che rispondono alla descrizione di edificio a zero emissioni e nella più bassa, la G, rientra invece il quindici per cento degli edifici più energivori, quindi con le performance energetiche peggiori, dell’intero parco immobiliare del Paese. Gli altri edifici vengono distribuiti proporzionalmente tra questi due estremi. Gli immobili più energivori sono anche quelli in cui si ritiene che con una spesa minore sia possibile raggiungere benefici maggiori in termini di riduzione dei consumi, di ritorno economico e anche di benessere sociale, perché i dati suggeriscono che i residenti di queste abitazioni sono più spesso colpiti da povertà energetica.

La situazione in Italia e la spesa prevista

Tenendo conto che il parco residenziale italiano conta 12,2 milioni di edifici, una stima approssimativa indica che gli edifici da ristrutturare nei prossimi dieci anni sarebbero 3,1-3,7 milioni. È però difficile dirlo con certezza, per vari motivi. La revisione della direttiva ha infatti delle eccezioni e in particolare prevede l’esenzione di unità abitative molto piccole, seconde case, case vacanza, edifici usati a scopo di difesa, luoghi di culto e di interesse storico-culturale. In quest’ultimo caso saranno in realtà i singoli Stati a decidere i criteri con cui adeguare la normativa. È difficile anche stimare la spesa totale di questo massiccio piano di ristrutturazioni, che dovrà avvenire per forza con una combinazione di fondi pubblici e privati, anche perché gli interventi possibili (dalla sostituzione della caldaia all’installazione di pannelli solari) hanno costi molto diversi. Per questo la Commissione europea propone di rafforzare tutti gli strumenti che possano facilitare l’investimento iniziale per la ristrutturazione. Tra i fondi esistenti, il Fondo sociale per il clima prevede ad esempio sessantacinque miliardi in finanziamenti per i settori dell’edilizia e dei trasporti. Anche il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) include misure per l’efficientamento energetico degli edifici. Inoltre, gli Stati membri sono invitati a definire un piano di supporto tecnico e finanziario adeguato, che rispetti le priorità di intervento.

Cosa succede se un edificio di classe G non viene efficientato entro il termine previsto?

La direttiva si applica agli Stati membri, non ai singoli cittadini: ciò significa che non prevede sanzioni per i proprietari degli immobili, ma incarica ciascun Paese di decidere in che modo e con quali criteri applicare e incentivare la direttiva europea. Gli Stati membri possono promuovere, ad esempio, “l’introduzione di strumenti d’investimento e di finanziamento abilitanti, quali prestiti per l’efficienza energetica e mutui ipotecari per la ristrutturazione degli edifici, contratti di rendimento energetico, incentivi fiscali, sistemi di detrazioni fiscali, sistemi di detrazioni in fattura, fondi di garanzia”. E oltre ai finanziamenti nazionali possono essere usati anche, ricorda la direttiva, “i finanziamenti disponibili stabiliti a livello dell’Unione, in particolare il Dispositivo per la ripresa e la resilienza, il Fondo sociale per il clima, i fondi della politica di coesione”, il fondo “InvestEU”, nonché “i proventi delle aste per lo scambio di quote di emissioni” del sistema Ets. Quanto al ruolo delle banche, la direttiva prescrive che siano adottate “misure volte a garantire che i prodotti di credito a favore dell’efficienza energetica per la ristrutturazione edilizia siano ampiamente proposti e in modo non discriminatorio dagli istituti finanziari e siano visibili e accessibili ai consumatori”.

ATTENZIONE. Alcuni Stati membri hanno ad esempio adottato il divieto di mettere sul mercato gli immobili che rimangono poco efficienti: è un meccanismo non obbligatorio a livello europeo né imposto dalla direttiva, ma può essere promosso come incentivo a livello nazionale. L’obiettivo principale della proposta di revisione è aumentare il tasso di ristrutturazione degli edifici più inefficienti dal punto di vista energetico, così da ridurre drasticamente le emissioni di gas a effetto serra e i consumi energetici nel settore edilizio. Più la classe energetica di un immobile è alta, infatti, minori saranno i consumi energetici, l’impatto sull’ambiente e la spesa a carico degli utenti.

Cosa cambia per gli edifici di nuova costruzione

Stando al testo approvato dalla Commissione giovedì 9 Febbraio 2023, tutti gli edifici privati di nuova costruzione dovranno essere a zero emissioni dal 2028 oppure già dal 2026 se si tratta di immobili di proprietà o gestione pubblica. Sempre entro il 2028, dove è economicamente e tecnicamente fattibile, i nuovi immobili dovranno essere dotati di tecnologie solari. Lo stesso vale per gli edifici residenziali in fase di ristrutturazione, che avranno però tempo fino al 2032 per adeguarsi a questa indicazione. A tal proposito, sempre negli edifici nuovi, sottoposti a ristrutturazioni importanti o in cui si sta cambiando impianto di riscaldamento, l’uso di combustibili fossili negli impianti di riscaldamento non dovrebbe più essere autorizzato già dalla data di recepimento della direttiva, mentre dovrebbe essere eliminato del tutto entro il 2035 o 2040.

Cosa cambia per gli edifici residenziali e quali sono le esenzioni

Gli edifici residenziali già esistenti dovranno raggiungere almeno la classe energetica E entro il 2030 e almeno la D entro il 2033. Gli edifici non residenziali e pubblici dovranno invece raggiungere le stesse classi energetiche rispettivamente entro il 2027 e il 2030. Secondo Enea, in Italia nel gennaio 2022 il cinquantasette per cento del parco immobiliare totale rientrava nelle classi F e G. Questa percentuale, sebbene fornisca un’idea di massima della situazione italiana, non indica però gli immobili che potrebbero essere effettivamente interessati dalla direttiva, che prevede infatti una riclassificazione degli immobili che sia comune a tutti gli Stati membri. Nello specifico, nella classe G finirà il quindici per cento degli edifici più energivori – ossia con le prestazioni energetiche peggiori – di tutto il parco immobiliare nazionale. Nella classe A verranno messi gli edifici che consumano meno o a zero emissioni, mentre tutti gli altri immobili verranno distribuiti proporzionalmente nelle fasce intermedie. Una casa a emissioni zero è alimentata, riscaldata e raffreddata da fonti rinnovabili, ad esempio geotermico, impianti eolici domestici e pannelli solari fotovoltaici e termici (i primi sono per l’elettricità, i secondi per l’acqua). Inoltre, ha adeguati serramenti e infissi, un cappotto termico, sistemi di raccolta per l’uso circolare delle acque, eccetera. Realizzare uno o più di questi interventi su un edificio esistente consente di migliorarne la classe energetica. Inoltre, sono esclusi a priori dalla direttiva europea tutti i monumenti, mentre ciascuno Stato membro potrà decidere di prevedere delle esenzioni per gli edifici tutelati o di particolare valore architettonico, storico, artistico e culturale, per i luoghi di culto e anche per gli immobili «a uso temporaneo», come le case vacanza. I governi avranno la facoltà di esentare anche le case popolari e in edilizia convenzionata nel caso in cui le ristrutturazioni di questi immobili dovessero comportare un aumento degli affitti non compensato dai risparmi in bolletta.

L’Italia è rigida davanti alle posizioni europee Confedilizia considera dannosa la direttiva

l’ha definita «dannosa per l’intero settore immobiliare italiano, anche per quei soggetti che pensano di poterne trarre qualche vantaggio». In realtà, come detto, al di là del fatto che l’iter legislativo non è concluso, la direttiva potrà essere applicata con un certo margine e con varie deroghe. Certamente il piano nazionale di ristrutturazione dovrà sensatamente tenere conto dei limiti e delle peculiarità italiane, come anche della necessità di incentivi e sovvenzioni per spingere le ristrutturazioni, ma senza perdere di vista il punto centrale della direttiva. Intervenire sul settore edilizio è imprescindibile per ridurre le emissioni e il consumo di energia e rispettare quindi gli obiettivi europei già fissati al 2030 e al 2050, senza però mettere in crisi i bilanci economici familiari.

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