ANCHE I VANI INAGIBILI PRODUCONO REDDITO

Vani inagibili

I vani inagibili producono reddito e bisogna tenerne conto nell’attribuzione della corretta categoria catastale. È la conclusione cui è giunta la Cassazione che con la sentenza in esame ha messo fine a un contenzioso sorto tra un contribuente e l’Agenzia delle Entrate.

Il Caso.

Il proprietario di un immobile, composto da piano terra e sottotetto, aveva presentato denuncia di variazione catastale, proponendo per il sottotetto un classamento in A/2 (abitazioni di tipo civile) e per il piano terra in C/2 (magazzini e locali di deposito). L’Agenzia delle Entrate aveva invece classificato l’immobile come A/7 (abitazioni in villini). Secondo il contribuente, il classamento operato dall’Agenzia delle Entrate non era corretto dal momento che il sottotetto aveva un’altezza inferiore al minimo per essere ritenuto abitabile e il piano terra risultava distrutto, fatiscente e in stato di abbandono.

Per la Commissione tributaria regionale (Ctr) della Campania, le modifiche apportate al sottotetto, con la suddivisione in ambienti e la sistemazione di finestre e un terrazzo, poteva far desumere la destinazione abitativa. La Ctr aveva inoltre osservato che nessun accertamento aveva verificato lo stato del piano terra, aggiungendo che, se fosse stato davvero fatiscente e abbandonato, il contribuente non avrebbe avuto motivo di richiederne l’accatastamento.

Parola alla Cassazione

La Cassazione ha affermato che, per l’attribuzione della rendita, bisogna fare riferimento solo alla situazione concreta dell’immobile. Non fanno testo, invece, l’agibilità o la conformità urbanistica. Questo perchè, hanno spiegato i giudici, ogni parte di immobile, nello stato in cui si trova, è di per sé stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio”. In sostanza, hanno concluso i giudici, l’eventuale inagibilità non priva l’immobile del suo valore economico.

I giudici hanno quindi dato ragione all’Agenzia delle Entrate, confermando l’aumento della rendita catastale dell’immobile e respingendo le obiezioni del proprietario.

LA SENTENZA

CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 febbraio 2020, n. 5175

Premesso che

1. Il 28 febbraio 2010, R.P. presentava, in relazione ad un immobile su due piani, sottotetto e terra, sito in Forio di Ischia (NA), accatastato, quanto al piano sottotetto, nel foglio 41, part. 215, particella sub 3 e, quanto al piano terra, nel foglio 41, part. 215, particella sub 4, denuncia di variazione in cui proponeva, per la prima particella (sub 3), il classamento in A/2, vani 6, rendita € 511,29 e, per la seconda particella (sub4), il classamento in C/2, vani 1, mq 39, rendita € 157,11;

2. l’Agenzia delle Entrate, sulla base delle planimetrie allegate alla denuncia, in parziale difformità rispetto alla proposta, accatastava la prima particella in A/7, rendita;

3. il contribuente impugnava l’avviso di fronte alla commissione tributaria provinciale di Napoli, la quale accoglieva l’impugnazione rilevando che il locale sottotetto (sub. 3) aveva una altezza inferiore al minino necessario per essere “giuridicamente abitabile” e che il locale al piano terra (sub4) risultava essere, da fotografia prodotta in giudizio dal ricorrente a correzione di quanto dichiarato a sua detta per errore nella richiesta di variazione, “in gran parte distrutto, fatiscente, e in stato di abbandono”;

4. in appello, la commissione tributaria regionale della Campania, con sentenza in data 25 giugno 2014, n. 6466, in riformava la decisione di primo grado, avallava l’accertamento dell’Agenzia. La commissione riteneva in primo luogo non fondata l’eccezione secondo la quale l’avviso sarebbe stato illegittimo perché non preceduto da sopralluogo.

Evidenziava, in secondo luogo, riguardo al locale sottotetto, che detto locale, come emergeva dalle planimetrie allegate alla richiesta di variazione catastale, era stato “modificato con una divisione in ambienti ed una sistemazione di finestre ed una terrazza a livello” onde non poteva che avere, di fatto, destinazione abitativa. Riguardo al locale al piano terra, rilevava che la fotografia e la dichiarazione di pugno del contribuente, “non riscontrate da nessun documento fidefacente o accertamento sul posto”, descrivevano il locale in una situazione – ridotto a “due muri ad angolo tra le macerie” – ritenendo “veritiera” la quale non era spiegabile come il contribuente avesse tentato di ottenerne l’accatastamento. La commissione aggiungeva che tale situazione sarebbe stata solo provvisoria, tra definitivo abbattimento e ripristino;

4. avverso questa sentenza il contribuente propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi illustrati con memoria e ai quali l’Agenzia delle Entrate, con controricorso, si oppone;

Considerato che

1. con il primo motivo di ricorso, il contribuente lamenta l’illegittimità della decisione impugnata deducendo che la stessa, per quanto riguarda le affermazioni contenutevi relative al locale al piano terra, si basa sull’incomprensibile assunto per cui, pur essendo ipotizzabile, in base alla fotografia e alla dichiarazione in atti, che detto locale sia “praticamente inesistente”, tuttavia il relativo accatastamento sarebbe valido. Secondo la contribuente, la sentenza è dunque priva di motivazione;

2. il motivo è infondato. La commissione ha, in sostanza, negato valore alla fotografia e alla dichiarazione del contribuente ed ha così concluso per la legittimità del nuovo classamento, fondato sui dati forniti dallo stesso contribuente nella proposta di accatastamento del locale in questione;

3. con il secondo motivo di ricorso, il contribuente lamenta l’illegittimità della decisione impugnata per violazione di leggi (art. 54 d.P.R. 1142/1949; artt. 1, commi 335, 336, 337, I. 311/2004) e difetto di motivazione (in diritto, sulle medesime leggi), deducendo che la stessa, per quanto affermatovi in relazione al locale sottotetto, si basa sull’errata tesi per cui la situazione di abitabilità di fatto avrebbe prevalenza sulla situazione di inabitabilità – rectius “agibilità” – di diritto;

4. il motivo è infondato. Ai fini del classamento di un immobile non è rilevante la sussistenza dei requisiti necessari all’ottenimento dell’agibilità. L’accatastamento è compiuto, ai sensi dell’art. 5 del r.d.l. 13 aprile 1939 n. 652 convertito nella legge 11 agosto 1939 n. 1249, relativamente ad ogni unità immobiliare urbana, definita come “ogni parte di immobile che, nello stato in cui si trova, è di per se stessa utile ed atta a produrre un reddito proprio”. Ai sensi dell’art. 8, comma primo, del regio decreto-legge 13 aprile 1939 n. 652, nel testo sostituito dall’art. 2 della legge 30 dicembre 1989, n. 427, e degli art. 6, comma 1 e 61, comma 2, d.P.R. n. 1142/1949, la categoria e la classe catastali debbono essere attribuite in ragione delle caratteristiche intrinseche che determinano la destinazione ordinaria e permanente delle unità immobiliari. L’accatastamento ha riguardo alla situazione reale o di fatto. L’agibilità presuppone la sussistenza delle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico degli edifici e degli impianti negli stessi installati, valutate secondo quanto dispone la normativa vigente, nonché la conformità dell’opera al progetto presentato. Secondo gli artt. 24-26 del d.P.R. n. 380 del 2001, nel testo vigente all’epoca dei fatti (2010), l’accatastamento non era condizionato dall’ottenimento dell'(allora previsto certificato di) agibilità ma era uno dei presupposti per l’ottenimento del certificato di agibilità;

5. con il terzo motivo di ricorso, il contribuente lamenta l’illegittimità della decisione impugnata rispetto agli artt. 6, comma 5, e 10, comma 1, L. 212/2000 per avere la commissione ritenuto l’avviso legittime malgrado non fosse stato preceduto da contraddittorio né da sopralluogo;

6. il motivo è infondato. Nessuna norma impone all’ufficio di instaurare un contraddittorio con il contribuente prima di poter emanare un avviso di accatastamento. Si evidenzia inoltre l’avviso di cui si tratta è stato emesso in esito a denuncia di variazione catastale presentata dal contribuente ed in recepimento delle planimetrie allegate alla denuncia stessa, salvo diversa stima comparativa dei beni. Questa Corte ha già avuto modo di precisare che “il sopralluogo non è necessario quando il nuovo classamento consegua ad una denuncia di variazione catastale presentata dal contribuente, atteso che le esigenze sottese al sopralluogo ed al contraddittorio si pongono solo in caso di accertamento d’ufficio giustificato da specifiche variazioni dell’immobile” (Cass. n. 374 del 10/01/2017);

7. con il quarto motivo di ricorso, sotto la rubrica “nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione, sotto diverso profilo, degli artt. 6, comma 5, e 10, comma 1, l. 212/2000 nonché dell’art. 54 d.P.R. 1142/1949”, il contribuente lamenta che “la sentenza impugnata si appiattisce in modo illegittimo sull’uso, da parte della Agenzia, del metodo di accertamento definito di estimo comparativo” e “non fornisce alcuna valida motivazione che possa giustificare sotto il profilo giuridico l’abbandono del criterio della effettiva destinazione urbanistica dei vani prescelto dal giudice di prime cure”;

8. il motivo è infondato. La commissione ha tratto il proprio convincimento dal fatto che sul piano catastale i vani in questione dovessero essere considerati abitabili. Ai fini dell’attribuzione della rendita rileva, come già evidenziato in riferimento al secondo motivo di ricorso, la situazione concreta dell’immobile non la relativa agibilità o conformità urbanistica. L’asserita non conformità agibilità, d’altronde, non priva l’immobile di valore economico;

9. in ragione di quanto precede, il ricorso deve essere rigettato;

10. al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del testo unico approvato con il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), l’obbligo, a carico della ricorrente, di pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo, se dovuto;

P.Q.M.

Rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente a rifondere alla Agenzia delle Entrate le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 6.000,00, oltre spese prenotate a debito;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del testo unico approvato con il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il pagamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo, se dovuto.