LA CONFORMITA’ URBANISTICA DELLA CANNA FUMARIA SPETTA ALL’AMMINISTRAZIONE E NON AL CONDOMINIO

Il CGARS: “l’amministrazione è tenuta a rilasciare il titolo edilizio considerando solo la compatibilità urbanistica dell’opera, lasciando ogni questione riguardante i diritti soggettivi all’unica sede competente, ovvero il giudizio civile

La valutazione dell’amministrazione riguardo alla richiesta di installazione di una canna fumaria in condominio si limita alla verifica della compatibilità urbanistica dell’opera, senza poter tener conto del parere o dell’opposizione degli altri condomini. Qualsiasi questione riguardante i diritti dei condomini, inclusi quelli relativi al decoro architettonico o al rispetto degli eventuali limiti imposti dalla legge, può essere affrontata solo attraverso azioni legali innanzi al tribunale civile.

Quindi, l’amministrazione non può negare il titolo abilitativo edilizio sulla base delle opinioni o dei diritti soggettivi degli altri condomini, ma deve basarsi esclusivamente sulla compatibilità urbanistica dell’opera in questione.

Sulla base di questi presupposti, il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, con la sentenza n. 392/2023, ha accolto il ricorso contro l’ordine di demolizione di una canna fumaria di un’attività di ristorazione. Una vicenda complessa, iniziata in sede civile e che aveva portato alla rimozione dell’opera originaria (ordinata dal giudice ordinario), a cui era seguita una nuova installazione su un’altra facciata dell’edificio, autorizzata dal Comune e dall’ARPA.

La nuova canna fumaria è stata eliminata coattivamente dall’Ufficiale giudiziario, «come se si fosse trattato della vecchia e ciò in presunta esecuzione della sentenza della Corte di Appello che riguardava la vecchia canna fumaria già eliminata e non la nuova, collocata in diverso sito e con modalità costruttive diverse», hanno spiegato i ricorrenti; successivamente, hanno presentato una SCIA nel 2020, con cui si comunicava la ricollocazione della nuova canna fumaria, già assentita, nel 2014, dall’Amministrazione comunale e dall’ARPA, nel rispetto delle distanze e del decoro architettonico.

A questa ricollocazione è seguita un’ulteriore comunicazione del Comune, nella quale l’Amministrazione specificava che era necessario il consenso di tutti i condomini, ingiungeva la demolizione della canna fumaria già realizzata, con avvertimento che in mancanza si sarebbe dato corso ai provvedimenti conseguenti.

I giudici d’appello hanno stabilito che l’ordinanza di demolizione emessa dall’autorità amministrativa è illegittima perché si basa su una presunta violazione dell’articolo 1102 del codice civile, che riguarda la possibilità di utilizzare la cosa comune senza alterarne la destinazione e impedire agli altri condomini di farne uso secondo i loro diritti. I giudici sottolineano che la valutazione della legittimità di un intervento edilizio richiesto da un partecipante alla comunione deve essere effettuata dall’amministrazione, competente ad autorizzarlo solo per gli aspetti amministrativi, senza considerare i profili civilistici e i limiti imposti dall’articolo 1102, i quali possono essere fatti valere solo davanti al giudice civile. In sintesi, le decisioni prese dal giudice civile e dall’autorità amministrativa sono separate e non interferiscono l’una con l’altra.

Pertanto, è viziato in sé l’esercizio del potere amministrativo come mero “braccio esecutivo” delle sentenze del giudice civile, appunto come ha fatto il Comune, avendo apertamente dichiarato che proprio “in conseguenza del mancato assenso preventivo reso dagli altri soggetti comproprietari, viene meno la piena legittimità” dell’opera e “per effetto di ciò, la stessa deve essere considerata illecita e quindi soggetta all’adozione dei provvedimenti repressivi di legge”.

Le motivazioni per il rilascio del titolo edilizio

L’amministrazione è invece tenuta a rilasciare il titolo abilitativo edilizio avendo esclusivo riguardo alla compatibilità urbanistica dell’opera richiesta – il che non implica affatto che essa non sia lesiva di diritti soggettivi altrui – lasciando ogni questione afferente a diritti soggettivi alla sua unica sede competente, che è il giudizio civile.

L’amministrazione comunale non può:

  • valutare, neanche incidentalmente, se l’opera integri un’alterazione della destinazione della cosa comune (di cui un singolo comunista voglia servirsi in modo esclusivo);
  • valutare se tale utilizzo sia compatibile con l’uso paritario altrui; né, infine, se l’opera sia o meno lesiva del decoro architettonico dell’edificio;
  • dosare, modificare, revocare o confermare i propri atti di assenso amministrativo secondo le sopravvenienti decisioni del giudice civile.

La fattibilità della collocazione di una nuova e diversa canna fumaria, rispetto a quella oggetto del contenzioso civile, avrebbe dovuto essere nuovamente esaminata dalla P.A. valutandone la conformità urbanistica a prescindere dalle questioni decise dal giudice civile. Altrimenti, è dal mero dissenso di un comproprietario che il Comune, implicitamente e illegittimamente, avrebbe derivato la sussistenza della violazione del decoro architettonico, che è il valore che l’ordinamento civile tutela.

Installazione canna fumaria: edilizia libera o nuova costruzione?

Infine, il CGARS ha specificato che il TAR ha erroneamente ritenuto l’opera riconducibile nella categoria dei lavori di ristrutturazione edilizia (art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001, Testo Unico Edilizia), per i quali sarebbe stato necessario il permesso di costruire.

Al riguardo il Collegio richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo cui «la canna fumaria deve ritenersi ordinariamente un volume tecnico e, come tale, un’opera priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale, per la cui realizzazione non è necessario il permesso di costruire, senza essere conseguentemente soggetta alla sanzione della demolizione», non sussistendo, a contrario, elementi per ritenere che l’opera in parola incida sulla sagoma dell’immobile (occorrendo, ma solo in tal caso, il “permesso di costruire”). Conseguentemente gli interventi per i quali è richiesta semmai la SCIA o un titolo “minore”, come nel caso di specie, ai sensi dell’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001 sarebbero eventualmente soggetti alla sola sanzione pecuniaria, ma non alla demolizione.

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