IL PROFESSIONISTA HA DIRITTO AD UN IMPORTO MAGGIORATO IN CASO DI REVOCA DELL’INCARICO

Al progettista cui viene revocato l’incarico, per ragioni indipendenti dal suo operato, ha diritto al pagamento del compenso per intero più un risarcimento. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza 451/2020.
Il caso A un architetto, incaricato della progettazione di un piano di lottizzazione per insediamenti produttivi, era stato sospeso l’incarico a causa di un cambiamento delle norme urbanistiche del Comune. Variazione a causa della quale il progetto redatto non era stato approvato perché non conforme alle nuove norme vigenti.
Era quindi sorto un contenzioso tra il progettista, che pretendeva il pagamento per le prestazioni svolte e per quelle sospese, e le società committenti, che lamentavano l’inadempimento e la non conformità del progetto.
La Corte distrettuale aveva sottolineato che la non conformità non era imputabile al progettista perché il nuovo piano urbanistico era entrato in vigore solo due giorni prima della presentazione del progetto. La Corte aveva quindi riconosciuto al progettista un compenso (quantificato secondo i minimi tariffari vigenti nel 1997) ridotto del 30% per l’impossibilità di realizzare il progetto di lottizzazione. Non era stata invece riconosciuta la maggiorazione del 25% per le prestazioni sospese (progettazione esecutiva e direzione dei lavori) perché, secondo la Corte distrettuale, si trattava di attività che non erano ancora state predisposte a causa della mancata approvazione del progetto di lottizzazione.
Cambio norme urbanistiche: compensi maggiorati per il progettista
La Cassazione ha ribaltato la situazione, riconoscendo al progettista la maggiorazione del 25% dei compensi a titolo di indennità “applicabile a tutte le ipotesi di interruzione del rapporto professionale”. I giudici hanno preso come riferimento la Legge 143/1949, che regolava le tariffe e gli onorari per le prestazioni professionali di architetti e ingegneri, poi abrogate dalle successive norme sulla liberalizzazione.
L’articolo 10, ancora in vigore, prevede che la sospensione per qualsiasi motivo dell’incarico dato al professionista non esime il committente dall’obbligo di corrispondere l’onorario per intero.Secondo l’articolo 18 della stessa norma, anch’esso vigente, in caso di sospensione delle prestazioni parziali, cioè che non seguono tutta la realizzazione dell’opera (come quelle affidate all’architetto), il professionista ha diritto ad una maggiorazione del 25% come risarcimento. Il diritto al risarcimento, si legge nella sentenza, spetta anche in caso di recesso del committente.
I giudici della Cassazione hanno considerato illegittima la riduzione del 30% dei compensi. Come si legge nel testo della sentenza, in base alla Legge 340/1976 e all’interpretazione data con la Legge 404/1977, i minimi tariffari per i professionisti sono derogabili solo nei rapporti intercorrenti con la Pubblica Amministrazione. Nei contratti tra privati devono invece essere sempre rispettati. Trattandosi di un contratto stipulato tra l’architetto e le società che intendevano realizzare la lottizzazione, quindi tra soggetti privati, la Cassazione ha annullato la decisione di ridurre il compenso.
Il caso preso in esame dai giudici riguarda un contratto stipulato prima dell’abrogazione dei minimi tariffari: l’atto di citazione contro l’ingiunzione di pagamento risale al 2002. Ricordiamo infatti che il decreto “Bersani” (DL 223/2006 convertito nella Legge 248/2006) ha eliminato l’inderogabilità dei minimi tariffari e che il decreto “Liberalizzazioni” (DL 1/2012 convertito nella Legge 27/2012) ha abrogato definitivamente le tariffe professionali.Oggi la determinazione dei compensi è demandata alla contrattazione e alla libera concorrenza. Per correlare il compenso alla complessità degli incarichi è stato elaborato il Decreto Parametri (DM 17 giugno 2016 che ha sostituito il DM 143/2013) usato negli appalti pubblici.Cosa deciderebbe oggi la Cassazione? Quasi sicuramente imporrebbe il pagamento per intero, maggiorato del risarcimento, ma, non essendoci più le tariffe professionali, per determinare la cifra da corrispondere dovrebbe rifarsi al contratto stipulato o al Decreto Parametri.
SENTENZA
Civile Sent. Sez. 2 Num. 451 Anno 2020
FATTI DI CAUSA
1.Con separati atti di citazione notificati il 24.9.2002, le società cooperative a responsabilità limitata **** ed i **** **** proponevano opposizione avverso i decreti ingiuntivi emessi dal Presidente del Tribunale di Prato in favore dell’arch. M. P. per il pagamento delle somme di euro 98.795,53 e di euro 105.635,94, oltre interessi e spese, a titolo di competenze professionali per la progettazione di un piano di lottizzazione per insediamenti produttivi nel Comune di Prato e per altre prestazioni connesse a tale incarico.
Instauratosi il contraddittorio con la costituzione del P. e riuniti i procedimenti, il Tribunale di Prato, con sentenza del 20.11.2009 rigettava le opposizioni.
Proponevano appello le società **** ed **** ****, cui resisteva il P.
La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 4 maggio 2015, in parziale riforma della decisione di primo grado, accoglieva parzialmente
l’opposizione e riduceva le competenze professionali.
Per quel che ancora rileva nel giudizio di legittimità, la corte di merito rigettava l’eccezione di inadempimento proposta dalle società i **** ed **, osservando che il progetto di lottizzazione era stato presentato dal professionista presso i competenti uffici comunali solo due giorni dopo l’entrata in vigore del nuovo progetto urbanistico, sicchè la non conformità alla normativa urbanistica non era imputabile al tecnico ma ad un evento sopravvenuto che costituiva factum principis.
Sotto il profilo del quantum, la corte distrettuale determinava i compensi secondo i minimi tariffari, tenendo conto del contenuto del verbale di assemblea del 24.11.1997, svoltasi presso lo studio del professionista e li riduceva nella misura del 30%, in ragione dell’impossibilità di realizzazione del progetto di lottizzazione.
Veniva, inoltre, escluso l’aumento del 25% richiesto dal P. per le”prestazioni sospese”, consistenti nella progettazione esecutiva e nella direzione dei lavori in quanto si trattava di prestazioni che non erano state svolte dal professionista e che non potevano essere svolte, in quanto il progetto non era conforme allo strumento urbanistico vigente; non si trattava, secondo il giudice d’appello di un “lavoro fatto e predisposto” ma di un’attività nemmeno predisposta a causa della mancata approvazione del progetto di lottizzazione.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso M. P. sulla base di tre motivi.
Hanno resistito con controricorso le società cooperative a responsabilità limitata **** ed **** ****, che, in prossimità dell’udienza anno depositato memorie illustrative.
Il Pubblico Ministero nella persona del Dott. Lucio Capasso ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 18 della L. 2.3.1949 n.143, in relazione all’art.360 comma ln.3 c.p.c., per non avere la corte di merito applicato la maggiorazione del 25% per le prestazioni sospese, ritenendo erroneamente che esse non fossero state svolte; la maggiorazione avrebbe, invece, carattere indennitario e sarebbe applicabile a tutte le ipotesi di interruzione del rapporto professionale. Motivo è fondato.
L’art.10 della L. 143/49 dispone che testualmente che la sospensione per qualsiasi motivo dell’incarico dato al professionista non esime il committente dall’obbligo di corrispondere l’onorario relativo al lavoro fatto e predisposto come precisato al seguente art. 18. Il secondo comma prevede dell’art.10 prevede che, quando la sospensione non sia dovuta a cause dipendenti dal professionista stesso, rimane salvo il suo diritto al risarcimento degli eventuali maggiori danni.
L’art.18, richiamato dal citato art.10, disciplina le prestazioni parziali, ovvero le prestazioni del professionista che “non seguono lo sviluppo completo dell’opera ma si limitano solo ad alcune funzioni – appunto parziali – alle quali fu limitato l’incarico originario; in tale ipotesi, la valutazione dei compensi a percentuale è fatta sulla base delle aliquote specificate nella tabella 8, allegata alla legge, aumentata del 25 per cento “come nel caso della sospensione di incarico di cui al primo comma dell’art. 10”.
Nel caso di sospensione dell’incarico, il compenso si valuta applicando le corrispondenti aliquote o percentuali al consuntivo della parte di opera eseguita ed al preventivo della parte di opera progettata e non eseguita, facendone il cumulo, tenuto conto dei coefficienti di maggiorazione come è detto sopra.
Dall’interpretazione letterale dell’art’10 e 18 della L. 143/49 si evince che l’architetto e l’ingegnere, in caso di sospensione dell’incarico, hanno sempre diritto alla maggiorazione prevista dall’art.18 per le prestazioni parziali, e, in caso di colpa del committente anche alla tutela risarcitoria.
La legittimità delle norme citate è stata scrutinata dalla Corte Costituzionale con le sentenze N.192/1984 e con la sentenza del n.336 del 24.7.2000.
Il giudice remittente aveva dubitato della legittimità costituzionale della normativa in quanto, nel caso di recesso del committente dal contratto di prestazione d’opera intellettuale stipulato con un architetto o un ingegnere, quest’ultimo poteva pretendere sia la maggiorazione, nella misura del 25 per cento, del compenso per l’opera svolta, sia il risarcimento integrale del danno (rispettivamente ai sensi dell’art. 18 e dell’art. 10, secondo comma, della legge in esame), in tal modo permettendo ad architetti e ingegneri, unici tra i professionisti, di cumulare il risarcimento del danno da inadempimento con una indennità dovuta per legge.
La Corte Costituzionale, nel rigettare la questione di legittimità costituzionale, ha osservato che la maggiorazione dei compensi, prevista dal combinato disposto degli artt. 10 e 18 della citata legge n. 143 del 1949, nell’ipotesi di “sospensione” dell’incarico, costituisce una indennità volta a compensare l’ingegnere o architetto per l’impossibilità di realizzare il progetto predisposto, che può essere apprezzato soltanto nei successivi stadi di realizzazione dell’opera.
Il professionista può pretendere il risarcimento del danno soltanto deducendo, e provando, l’altrui colpevole condotta e non sulla base del mero fatto della sospensione dell’incarico, anche in caso di intervenuta revoca. A evitare, infine, il rischio di qualsiasi indebita locupletazione per il professionista, vi è il principio secondo cui l’indennità prevista dall’art. 10, primo comma, resta assorbita nel risarcimento quando esso sia superiore.
Anche questa Corte ha ritenuto che il compenso spettante ad un ingegnere per le prestazioni parziali rese debba esser aumentato del 25%, ai sensi dell’art. 18 legge della tariffa professionale degli ingegneri e architetti (I. 2 marzo 1949 n. 143), indipendentemente dalla circostanza che il mancato completamento dell’incarico sia dipeso dalla revoca di quest’ultimo, proveniente dal committente e determinata dall’inadempimento del professionista . Il giudice di legittimità ha fornito un’interpretazione sistematicaagli artt. 10 e 18 della legge professionale, muovendo dalla lettera dell’art. 10, che stabilisce tale aumento in caso di “sospensione dell’incarico per qualsiasi motivo”, specificando al secondo comma che il diritto al risarcimento di maggiori danni è escluso se la sospensione è imputabile al professionista ( Cassazione civile sez. II, 17/07/1999, n.7602).
Detto indirizzo ha trovato conferma in una successiva pronuncia dell’11/09/2009, n.19700, secondo cui l’art. 10, comma 2 della tariffa professionale degli ingegneri ed architetti, approvata con I. 2 marzo 1949 n. 143, nell’attribuire al professionista il diritto al risarcimento dei maggiori danni, in caso di sospensione dell’incarico dovuta a cause da lui non dipendenti, trova applicazione anche nell’ipotesi di recesso del committente, consentendo al professionista di provare la condotta colpevole di quest’ultimo, ai fini del conseguimento dell’integrale ristoro del danno.
La corte di merito non ha correttamente applicato la norma di legge in quanto ha escluso la maggiorazione di cui all’art.10 per le “prestazioni
sospese”, consistenti nella progettazione esecutiva e nella direzione dei lavori, ritenendo che esse non fossero state svolte dal professionista e che non potevano essere svolte, a causa della modifica dello strumento urbanistico.
Le maggiorazioni erano, invece dovute, indipendentemente dallo svolgimento dell’attività, qualora il progetto e la direzione dei lavori fossero previsti nell’incarico ed indipendentemente dai motivi della sospensione, trattandosi di obbligazione di natura indennitaria.
La sentenza va, pertanto cassata e rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, perché, esaminato l’oggetto dell’incarico conferito al professionista, faccia applicazione del seguente principio di diritto:”Il compenso spettante ad un architetto o ingegnere per le prestazioni parziali rese deve esser aumentato, ai sensi dell’art. 18 legge della tariffa professionale degli ingegneri e architetti indipendentemente dalla causa relativa al mancato completamento dell’incarico e anche se esso sia stato determinato dalla revoca di quest’ultimo, proveniente dal committente”.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione della L. 5.5.1976 n.340 e della L.143/58, in relazione all’art.360 comma ln.3 c.p.c., per avere operato la riduzione del 30% sul compenso determinato secondo i minimi tariffari, mentre l’inderogabilità dei minimi tariffari sarebbe stata prevista dal verbale di assemblea con cui era stato conferito l’incarico e dalle tariffe professionali degli architetti e degli ingegneri.
Il motivo è fondato.
La L. 340/ 76 ha previsto che i minimi tariffari per gli architetti siano inderogabili.
La regola dell’inderogabilità dei limiti tariffari di categoria stabiliti per i professionisti si applica agli incarichi professionali privati (non opera, quindi, in relazione agli incarichi conferiti da enti pubblici), come si evince dall’art. 6 della I. n. 404 del 1977, che, interpretando autenticamente l’articolo unico della I. n. 340 del 1976, ha previsto l’inderogabilità dei minimi delle tariffe professionali degli ingegneri e degli architetti limitatamente ai rapporti intercorrenti tra privati (Cassazione civile sez. I, 24/09/2018, n.22482; Cassazione civile sez. II, 27/04/2015, n.8502).
Mentre, pertanto, i compensi per le prestazioni professionali degli ingegneri ed architetti rese allo Stato e agli altri enti pubblici possono essere concordati, ex art. 4 comma 12 bis del d.l. n. 65 del 1989, in misura ridotta rispetto ai minimi tariffari, con possibilità di concordare una riduzione dei minimi tariffari senza nullità del patto derogatorio degli anzidetti limiti minimi tariffari, nei rapporti tra privati, i minimi tariffari sono inderogabili.
Poiché, nella specie, il rapporto contrattuale intercorreva tra privati, ha errato la corte distrettuale ad operare la riduzione del 30% rispetto ai minimi tariffari.
La sentenza va, pertanto cassata anche in relazione al secondo motivo e rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze, perché escluda la riduzione operata sui minimi tariffari.
Va dichiarato assorbito il terzo motivo di ricorso si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art.360 comma 1 n.5 c.p.c., poiché la corte territoriale non avrebbe preso in esame la consulenza tecnica d’ufficio.
P.Q.M.
accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte d’appello di Firenze.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, in data 26 settembre 2019.