L’ITALIA E LE INFRASTRUTTURE FRAGILI: IL PONTE MORANDI LA RELAZIONE DI PROGETTO, DI MANUTENZIONE E LE CRITICITA’ DEL CEMENTO ARMATO
Il viadotto Polcevera dell’autostrada A10 a Genova, chiamato ponte Morandi fu costruito tra il 1963 e il 1967 dalla Società Italiana per Condotte d’Acqua. La struttura collegava i quartieri della Valle Polcevera e facilitava gli spostamenti tra Italia e Francia.
Ha una lunghezza di 1.182 metri, un’altezza al piano stradale di 45 metri e 3 piloni in cemento armato che raggiungono i 90 metri di altezza; la luce massima è di 210 metri. La relazione originale dettagliata può essere consultata al seguente link: link: https://www.donnegeometra.it/wp-content/uploads/2023/08/RELAZIONE_MORANDI.pdf
Il viadotto venne edificato con una struttura mista: cemento armato precompresso per l’impalcato e cemento armato ordinario per le torri e le pile. Il ponte venne inaugurato il 4 settembre 1967. Il suo aspetto elegante e il design innovativo sembravano essere un faro dell’ingegneria italiana, una pietra miliare nella storia delle autostrade italiane, sia per la complessità della soluzione tecnica, sia per l’elevato risultato estetico.
IL PROGETTO
Il progetto del ponte prevedeva una coppia di stralli per ogni sezione stradale utilizzando calcestruzzo rinforzato con tendini in acciaio. L’imponente struttura era considerata robusta ma molto più leggera di altri ponti poiché utilizzava meno acciaio. Morandi era noto per i suoi ponti strallati, che stavano appena iniziando a guadagnare popolarità in quel momento, e il suo uso di strutture in cemento armato e precompresso per far fronte alla difficoltà di reperire l’acciaio tra l’altro molto costoso nell’Italia del secondo dopoguerra. Questa soluzione utilizzata da Morandi, la si ritrova anche sul più lungo e precedente Ponte General Rafael Urdaneta sulla baia di Maracaibo (Venezuela), progettato dal Morandi stesso.
Nel giro di pochi anni dalla sua apertura, Morandi riconobbe che il ponte avrebbe avuto bisogno di una manutenzione continua e frequente. Al momento del suo realizzo con erano ancora conosciute le criticità del “cemento armato”, che ora invece sono note grazie agli studi condotti e alle verifiche di laboratorio eseguite con macchinari sofisticati e che hanno evidenziato che la durata del “cemento moderno” va dai 50 ad un max di 100 anni.
I carichi vivi come quelli del traffico in costante aumento e le anomalie meteorologiche (il vento di temperamento e la pioggia battente) causano un degrado accelerato di ogni struttura (il viadotto Polcevera è crollato durante un violento acquazzone). La conoscenza del fenomeno della corrosione nel settore delle costruzioni e in campo ingegneristico non era ancora diffuso poiché i documenti normativi e le linee guida sulla valutazione della corrosione sono relativamente recenti.
Un altro fattore secondo gli studi che ha contribuito al crollo è stato il traffico. Quando il ponte è stato costruito, il livello di traffico sulle strade era significativamente inferiore e quindi progettato per ospitare un determinato carico. I decenni successivi portarono al sovraccarico del ponte, con un aumento di mezzi pesanti in crescita. Oltre al peso, l’usura aggiuntiva dovuta a oltre 10 volte il traffico previsto ha influito sulla sua integrità. Un approccio orientato alla resilienza che pianificava una nuova tangenziale per condividere il traffico sarebbe stato il modo migliore per gestire il carico inaspettato del ponte, dicono gli studiosi, ma una proposta per costruirne uno era stata respinta nel 2009.
Morandi si profuse attivamente, in interviste ed articoli vari, nell’evidenziare le criticità emerse a seguito dell’evoluzione della tecnica e le nuove conoscenze sul comportamento viscoelastico del calcestruzzo che cominciarono a far sorgere seri dubbi sulla effettiva durabilità di questo tipo di opere.
Nel 1979 dopo 12 anni dalla costruzione, creò un rapporto che offriva misure preventive per ridurre gli effetti dell’aria salata del mare e dell’inquinamento delle fabbriche sul ponte, dimostrando come al tempo della progettazione molte nozioni sulla durabilità del ponte non fossero conosciute.
Inoltre come collegamento autostradale strategico tra il Nord Italia e il Sud della Francia, è stato attraversato da una media di circa 30 milioni di veicoli all’anno (Questo dato si riferisce a uno studio del 2009 di Autostrade per l’Italia sulla Tangenziale di Genova, che ha rilevato che il viadotto Polcevera è stato attraversato 25,5 milioni di volte l’anno, con un aumento previsto di circa il 30% nei prossimi 30 anni.)
Il volume di traffico – e le sollecitazioni che poteva generare sulla struttura del ponte – era considerato un altro elemento da monitorare nella relazione di Morandi del 1979, che rilevava appunto un aumento significativo del traffico veicolare rispetto a quello previsto in fase di progettazione.
La relazione può essere scaricata cliccando qui:
https://www.donnegeometra.it/wp-content/uploads/2023/08/RELAZIONE_MORANDI_ANNO_1979.pdf
Il rapporto inizia in questo modo:
“Alcuni decenni trascorsi a progettare, dirigere e supervisionare le costruzioni di ponti in cemento armato mi autorizzano ad esprimermi opinioni sulla loro durata e sulla frequenza di ripetuti inconvenienti che possono verificarsi nel corso del tempo. Cercherò di fare una classificazione sintetica di tale inconveniente e concluderò riportando il comportamento di due strutture, sia costruite che in funzione da diversi anni, una con la normale e l’altra con caratteristiche esplicative. Li ho scelti tra molti altri perché potrebbero sorgere osservazioni interessanti.”
Il rapporto prosegue :
“Come è noto, un ponte in cemento armato, a parte i possibili problemi dovuti a specifiche deficienze dello stato, è soggetto a lento deterioramento a causa di:
• l’effetto dei carichi mobili e dell’azione ambientale, soprattutto sulla pavimentazione, sulle strutture portanti, sugli intarsi e sulle finiture,
• gli effetti chimici e meccanici dovuti alle azioni metereologiche sul cemento e anche sul rinforzo.
Dobbiamo considerare, in una particolare categoria, alcuni fenomeni speciali come l’aspetto di crepe diffuse (le crepe del muro) in parte a causa dello scarso allungamento del calcestruzzo rispetto a quello dell’acciaio (quando questo è sottoposto a sollecitazioni elevate dell’unità), in parte alle vibrazioni causate dal traffico e in parte a una distribuzione non uniforme dei rinforzi all’interno della massa concreta.
In realtà, è noto che i normali membri in cemento armato sottoposto a flessione e taglio (specialmente sotto l’effetto di carichi dinamici) tendono a sviluppare crepe nel corso del tempo, anche quando la progettazione o gli errori tecnologici devono essere esclusi.
Prendiamo in considerazione in particolare le cosiddette crepe murarie, vale a dire se le crepe verticali si sono diffuse quasi completamente sulla superficie e più vicine l’une all’altre nelle aree intermedie tra due supporti adiacenti.
Molto spesso tali crepe non raggiungono i rinforzi in acciaio principale, in altre parole rimangono piccoli e superficiali, ma danno luogo a uno stato di allerta, a richieste di risarcimento, e al sospetto che ci sono dei difetti che appariranno nel corso del tempo.
In altre parole, questo è un fenomeno molto frequente. L’eliminazione di esso (in considerazione di tutte le cause che contribuiscono a produrlo: sollecitazioni causate da carichi esterni, a cambiamenti di temperatura, per restringimento) ci richiederebbe di introdurre nel fascio tale quantità di rinforzo distribuito tale da compromettere le condizioni economiche dell’uso della struttura, specialmente in paesi in cui l’acciaio è particolarmente costoso.”
“In tempi piuttosto recenti è stato concordato di introdurre il concetto che il fenomeno dell’aspetto delle crepe potesse essere accettato come un comportamento naturale della struttura, a meno che non lo fosse causare una diminuzione della capacità di prestazione della struttura, anche a lungo termine.
Pertanto, è stato concordato di procedere con una serie di euro test sperimentali e sperimentali per scoprire il massimo larghezza della fessura (dopo aver preso in considerazione i vari aspetti ambientali circostanze) al di sotto del quale la struttura sembrerebbe adatta servizio.
I valori massimi sopra indicati sembrano ormai inseriti nei codici in vigore per le strutture in cemento armato … e dovrebbe essere facile, ormai, superare le preoccupazioni del laico (seguito nella maggior parte dei casi da cause legali e sondaggi) quando scopre anche una piccola crepa, alla quale si associa immediatamente l’idea del crollo della struttura.
Lo studio della determinazione della suddetta larghezza massima della fessura tuttavia tende a diventare sempre più complesso: abbiamo notato che non è sufficiente prendere in considerazione il funzionamento con il massimo carico poiché notiamo sempre di più che l’accordo tra il i comportamenti teorici e reali di una struttura sono maggiori. Per quanto riguarda il cracking, se maggiore è stato l’investigazione sul rapporto tra i carichi permanenti e quelli vivi, e più può essere previsto il rapporto tra la permanenza del carico e la vita utile attesa dell’opera.
Tutto ciò, come detto in precedenza, deve essere aggiunto alle sollecitazioni dovute alle variazioni geometriche impedite sotto l’effetto della temperatura (cambiamenti e restringimenti). Qui, tuttavia, dobbiamo chiarire un punto importante:
La determinazione dello stato di cracking di una struttura, cioè la determinazione dell’estensione e della posizione delle fessure, può portare a due conclusioni diverse: se tutte le crepe sono quelle ipotizzate e dovute a condizioni ambientali, in tal caso, almeno a questo riguardo, la struttura è adatta per il servizio anche a lungo termine. Se invevce la struttura può mostrare aperture di crepe che superano il massimo valore accettato nel progetto o riconosciute come accettabile al momento del controllo, in questo secondo caso, di norma, le crepe possono essere causa danni alla conservazione del rinforzo – e quindi causa dell’infiltrazione di umidità o altre cose e quindi sarà necessario sigillare le crepe più larghe …
Quanto sopra, ovviamente, dovrebbe essere fatto dopo un sondaggio attraverso mezzi o prove dirette e indirette effettuate per rilevare se le fessure potrebbero aver danneggiato la capacità operativa dello stato della struttura. E, per concludere la questione delle crepe, tutto ciò che è stato detto non ha ovviamente alcun significato quando la struttura è sottoposta a prestress.” …
Negli anni 90 l’Ing. Francesco Pisani collaboratore di Riccardo Morandi all’epoca della costruzione del viadotto Polcevera , progettò e partecipò al risanamento strutturale della pila 11. Ebbe successivamente nel 2011 anche l’incarico di progettare un risanamento analogo anche per la pila 9, quella coinvolta dal cedimento degli stralli nell’infausto agosto del 2018. Ma non tutte le indicazioni dell’intervento furono implementate, dopo uno scambio di documenti, con una previsione di spesa di 23 milioni e 800mila i lavori non furono cantierizzati. (Cfr. La Repubblica di Genova del 17 Agosto 2023)
Dopo i lavori del 1993 del pilone 11, sul pilone 9, è stato installato un “sistema di controllo riflettometrico continuo per verificare lo stato di deterioramento”, costituito da un sensore che, avrebbe dovuto valutare la deformazione esterna dei cavi, come ha fatto rilevare l’ingegner Gabriele Camomilla, in un’intervista alla rivista Ingenio pochi giorni dopo il crollo del ponte. Ha funzionato con un modem collegato a un computer e ha misurato l’intensità di tensione dei cavi stessi”. Il sensore ha effettivamente funzionato dal 1992 al 1996 e, una volta interrotto il rilevamento, non è mai stato sostituito.
Gli strumenti di ispezione disponibili nel 1990 non sono certamente paragonabili a quelli di oggi. Tuttavia, la necessità di installare un sistema di monitoraggio, per quanto semplice, indica che c’erano dubbi sulla resistenza degli stralli già all’epoca.
L’ing. Francesco Pisani è morto a 90 anni il 16 Agosto 2023.
Molti studi e ricerche sono state svolte in Italia e all’estero evidenziando le criticità delle strutture di ponti uniche, con grandi campate, che non soddisfano i requisiti della norma europea [14] (EN 1990, 2004), tabella 2.1, relativa a un periodo di utilizzo sicuro pari a 100 anni.
Le condizioni riportate nella norma prendono in considerazione vari fattori come l’azione del vento, l’azione sismica, l’azione della neve e l’azione termica. La tabella 2.1 fornisce i valori di riferimento per questi fattori in base a una probabilità di superamento dell’1% in 50 anni.
L’utilizzo di queste condizioni di esercizio sicuro per un periodo di 100 anni assicura che le strutture siano progettate per resistere alle sollecitazioni a lungo termine e che siano in grado di garantire la sicurezza delle persone e delle proprietà.
Leggi uno studio realizzato sul Ponte Morandi (Road and Bridge Research Institute, 03-302 Varsavia, Polonia)
https://www.mdpi.com/2076-3417/11/17/8098
“Riccardo Morandi è stato uno degli ingegneri civili più innovativi della storia italiana”, ha detto Antonio Occhiuzzi, professore di ingegneria strutturale alla Parthenhope University di Napoli. “Non esiste alcun difetto [di progettazione] che possa essere direttamente correlato al fallimento”.
A Morandi è stato attribuito il merito di aver creato un ponte leggero e durevole con il minimo disturbo alle abitazioni nella valle attraversata dal Ponte Morandi, e di averlo fatto con materiali a basso costo. “La vera innovazione di Morandi in questo ponte è stata quella di utilizzare il cemento armato come foderi stralli piuttosto che acciaio ad alta resistenza”, ha affermato Neil Hawkins, professore emerito di ingegneria presso l’Università dell’Illinois. Il progetto del Ponte Morandi non era comune, dice Occhiuzzi. “Era necessario solo dove problemi speciali non consentivano l’uso di soluzioni ‘standard’. In questo caso, c’era la necessità di costruire un ponte autostradale su una zona urbana”. Costruire sopra una città precludeva un numero maggiore di colonne. Tuttavia, gli involucri in calcestruzzo richiedono maggiore attenzione rispetto ad altri progetti. “All’inizio del suo utilizzo, Morandi ha notato che il ponte potrebbe aver bisogno di una manutenzione costante e frequente”, afferma Hawkins. “La lezione è che in questi ponti bisogna prestare particolare attenzione ai soggiorni”, aggiunge Occhiuzzi. (Guelda Voien AD 22 agosto 2018)
LE INFRASTRUTTURE FRAGILI: MANUTENZIONE, SICUREZZA ED EFFICIENZA
Il Ponte di Genova e il suo crollo, ancora oggi un monito per ricordare costantemente l’importanza necessaria della manutenzione di strade e ponti, un patrimonio che va protetto e tutelato in nome di due principi: la sicurezza e l’efficienza.
Alcuni osservatori pensano addirittura che sia ora di smettere di spendere per la manutenzione dei ponti e costruire di nuovo. “Migliaia di ponti stanno arrivando alla fine dei loro giorni”, si legge in un recente rapporto di The Economist. Sottolineano che i paesi dell’OCSE che spendono di più per la manutenzione delle infrastrutture rispetto ai loro pari, come l’Italia e la Grecia prima dell’austerità, non hanno necessariamente avuto risultati migliori. I paesi che seguono la direzione opposta, come la Gran Bretagna e l’Austria, hanno ottenuto punteggi migliori sulla qualità delle loro strade, per esempio. L’Economist stima che l’Italia abbia speso l’80% del costo della sostituzione del Ponte Morandi per tentativi di ripararlo prima del crollo. Ma la riluttanza ad abbattere i ponti non riguarda solo il denaro e la sicurezza.
I ponti sono componenti sensibili dell’infrastruttura del traffico e la loro durata è limitata. I volumi di traffico sono in aumento in tutto il mondo e molte strutture sono in fase di invecchiamento, due fattori che si combinano per creare una situazione pericolosa.
Costruite durante l’era più prospera dell’Italia – tra il momento in cui i fondi del Piano Marshall hanno dato il via all’economia postbellica della nazione precedentemente assediata, ma prima del rallentamento degli anni ’70 – tali infrastrutture sono un promemoria fisico della resilienza e dell’innovazione italiana.
La minaccia, per quanto difficile da quantificare, del degrado dei ponti strallati non riguarda in alcun modo l’Italia o i ponti Morandi, ma è una minaccia in tutti i Paesi industrializzati dove il monitoraggio coerente, la manutenzione organizzata sono indispensabili e laddove si riscontrano delle criticità irreversibili va progettata la demolizione e la sostituzione sulla scorta delle nuove evidenze scientifiche e le tecnologie avanzate. L’Italia è un paese di montagne e colline e i ponti, per le infrastrutture stradali, sono uno strumento essenziale.
Il cemento armato è un materiale da costruzione, che ha consentito una ricostruzione post bellica veloce ed economica, la combinazione di cemento e acciaio conferisce al materiale un’alta resistenza alla compressione e alla trazione, permettendo alle strutture in cemento armato di sopportare grandi carichi e di resistere alle sollecitazioni provocate dal vento, dalle vibrazioni, dai terremoti e da altri eventi naturali.
Tuttavia, nonostante la sua alta resistenza, molti studi susseguitesi negli anni hanno dimostrato le criticità di questo materiale tra cui quella della carbonatazione (ma non è la sola….) che ha un effetto negativo e rappresenta una delle maggiori cause di degrado del materiale, e quindi da monitorare in modo costante, che partecipa al degrado e al collasso strutturale in determinate circostanze. La carbonatazione è un fenomeno chimico che aggredisce il calcestruzzo armato influendo in modo negativo sui ferri di armatura consentendo la loro ossidazione. Anch’esso, come tanti mali del nostro tempo è dovuto alle condizioni climatiche e all’inquinamento ambientale.
La carbonatazione nel calcestruzzo è un processo chimico in cui la CO2 (anidride carbonica) presente nell’atmosfera o proveniente da altre fonti entra nel calcestruzzo e reagisce con l’idrossido di calcio contenuto nella pasta di cemento idratata. Questa reazione porta alla formazione di carbonato di calcio, acqua e altre sostanze. La carbonatazione può avvenire naturalmente nel corso del tempo a causa dell’esposizione del calcestruzzo all’aria e all’umidità. Tuttavia, la velocità di carbonatazione può variare a seconda di diversi fattori come la concentrazione di CO2, la temperatura, l’umidità e la composizione del calcestruzzo. La carbonatazione può portare a diversi effetti sul calcestruzzo. Da un lato, può contribuire a indurire la superficie del calcestruzzo, migliorando la sua resistenza all’usura e alla penetrazione dell’acqua. D’altra parte, può causare una diminuzione del pH e una conseguente perdita della protezione passiva dell’armatura metallica presente nel calcestruzzo. Questo può innescare la corrosione dell’armatura e portare a problemi di durabilità e stabilità strutturale.
Pertanto, la carbonatazione è considerata un processo di degrado che può influire sulla durata e sulle prestazioni del calcestruzzo. È importante monitorare e valutare il livello di carbonatazione nelle strutture in calcestruzzo al fine di prendere le misure necessarie per prevenire danni ulteriori e preservare la durabilità delle strutture.
Il collasso strutturale quindi può verificarsi anche a causa di fenomeni diversi dagli errori di progettazione, errori di costruzione, come quelli dell’usura nel corso del tempo o di un carico anomalo.
Gli errori di progettazione possono includere errori nelle dimensioni o nella posizione dei rinforzi in acciaio, assenza di elementi strutturali di sostegno adeguati o una progettazione generale insoddisfacente per il tipo di struttura e l’ambientde in cui viene costruita.
Gli errori di costruzione possono includere una cattiva miscelazione del cemento, una posa in opera impropria dei rinforzi in acciaio, una scarsa qualità dei materiali utilizzati o un controllo della qualità inadeguato durante il processo di costruzione.
L’usura e l’invecchiamento delle strutture possono causare un indebolimento dei materiali, con conseguente perdita di resistenza strutturale nel tempo. Inoltre, eventi come terremoti, uragani, esplosioni improvvise, fattori ambientali possono generare sollecitazioni e reazioni straordinarie che possono portare al collasso delle strutture in cemento armato.
Anche un carico anomalo causato da sovraccarichi o utilizzo improprio di una struttura superando le capacità di resistenza strutturale del cemento armato, può portarlo al collasso.
Per prevenire il collasso strutturale di strutture in cemento armato, quindi è fondamentale una corretta progettazione strutturale, un’attenta supervisione e una costruzione di qualità, nonché una regolare manutenzione e ispezione delle strutture esistenti. I regolamenti e le normative edilizie del paese di appartenenza sempre in evoluzione, forniscono orientamenti e prescrizioni per garantire che le strutture in cemento armato siano sicure e robuste.
IL VIADOTTO SAN GIORGIO
Parte del viadotto Morandi è crollato il 14 Agosto del 2018, ben 51 anni dopo la sua costruzione e quattro mesi dopo, l’architetto Renzo Piano, ha progettato il ponte urbano San Giorgio in acciaio e calcestruzzo, che ha una lunghezza di 1.067 m., una larghezza di 30,8 m., e si sviluppa a un’altezza di 56 m. sul livello del mare, con pinne metalliche sui lati con due file di pannelli solari.
«È venuto subito naturale pensare che potesse diventare un vascello bianco che attraversa la valle. La scocca è la chiglia di una grande nave d’acciaio, saldamente sorretta dalle pile in cemento. In questo mi ha aiutato anche l’esperienza già fatta a Ushibuka, in Giappone, dove nel 1996 abbiamo progettato un ponte marino lungo novecento metri. Usando proprio l’acciaio, come si fa per le navi. Un materiale che oltretutto ha una lunghissima durata, basta averne cura e proteggerlo. È stata anche una scelta logistica, naturalmente elaborata con le imprese, che ha permesso di ridurre i tempi di costruzione, perché il cantiere delle pile in cemento e dalla scocca in acciaio sono andati avanti contemporaneamente. Così mentre Webuild gettava le nuove fondazioni e costruiva le pile, nei cantieri navali di Fincantieri nascevano le diciotto campate in acciaio, che poi sono state trasportate sul cantiere. Rispetto a un’impostazione tradizionale, che in cantiere vede susseguirsi opere primarie, secondarie e finiture, qui i due cantieri sono partiti in parallelo. Tre campate sono lunghe cento metri e pesano millecinquecento tonnellate. Le altre sono lunghe cinquanta metri e pesano seicento tonnellate» (R. Piano)
CONTROLLI NELL’ITALIA A RISCHIO
Il rapporto dell’istituto di tecnologia delle costruzioni del Cnr, che risale al giugno del 2018, quando mancava poco più di un mese al crollo del viadotto sul Polcevera, diceva che il nostrosistema di infrastrutture stradali non regge più, perché la maggior parte dei ponti e viadotti italiani è stato costruito tra il 1955 e il 1980.
«Hanno superato la durata di vita per la quale sono stati progettati». Incrociando età anagrafica, interventi straordinari e allarmi raccolti dai gestori, il Cnr identifica venti ponti o viadotti che «destano preoccupazione», talvolta sovrapposti alle segnalazioni della magistratura.
L’ultimo dossier dell’Unione province italiane elencava 1.918 fra ponti e viadotti che necessitano di interventi anche urgenti per garantire conservazione e staticità, ovvero la sicurezza di chi ci passa sopra, in auto, camion o a piedi, anche alla luce di un commercio e un turismo che crescono con l’aumento del transito.
Il Pnrr che è solo l’inizio di un processo che prevede investimenti senza precedenti per la costruzione e la riqualificazione di infrastrutture, per la mobilità sostenibile, per rafforzare le imprese e migliorare la qualità del lavoro e della vita delle persone, tutelando gli ecosistemi terrestri e marini, deve dare risposte concrete e prioritarie ai mercati delle opere pubbliche e alla sicurezza delle infrastrutture esistenti.