I LIMITI E I POTERI DEL CONSULENTE TECNICO D’UFFICIO

Corso antincendio

Quali i poteri, quali i limiti, quali le conseguenze processuali del consulente tecnico d’ufficio, secondo il recente orientamento della Cassazione? Tre, le questioni di diritto poste alla Suprema Corte di Cassazione Civile (sentenza n. 31886/2019), in relazione a:

  • a) quali siano i poteri istruttori del consulente tecnico d’ufficio, e quali i loro limiti;
  • b) se, ed in quali casi, a quei limiti possa derogarsi per volontà della legge, per ordine del giudice o per consenso delle parti;
  • c) quali siano le conseguenze processuali della non giustificata violazione di quei poteri. Il consulente tecnico d’ufficio è accertato che non può indagare su fatti o acquisire documenti non ritualmente dedotti dalle parti, a pena di nullità dell’elaborato commissionatogli.

I poteri del Consulente Tecnico d’Ufficio sono fissati dall’art. 194 c.p.c., ma per evitare che le espressioni della norma possano essere interpretate, in modo estensivo, é necessario riportarle nell’alveo delle disposizioni che disciplinano i poteri delle parti e il principio dispositivo (artt. 112 e 115 c.p.c.) con quelle che disciplinano l’istruttoria e l’assunzione dei mezzi di prova da parte del giudice (artt. 202 e ss. c.p.c.).

I poteri istruttori del C.T.U.: la corretta interpretazione dell’art. 194 c.p.c.

In virtù dell’articolato percorso argomentativo seguito dai giudici di legittimità, si ritiene che la corretta interpretazione della norma relativa all’attività del consulente sia la seguente:

  • «le indagini che il giudice può “commettere” a c.t.u. sono soltanto quelle aventi ad oggetto la valutazione (nel caso di consulenza deducente) o l’accertamento (nel caso di consulenza percipiente) dei fatti materiali dedotti dalle parti, e non altri; l’affidamento per contro al c.t.u. di quesiti concernenti fatti mai dedotti dalle parti o, peggio, di valutazioni giuridiche, sarebbe quesito nullo dal punto di vista processuale e, nel secondo caso, fonte sin anche di responsabilità disciplinare per il magistrato» (Cass. S.U. 6495/2015);
  • «i “chiarimenti” che il consulente può richiedere alle parti sono soltanto quelli idonei ad illuminare passi oscuri od ambigui dei rispettivi atti, e non possono comportare l’introduzione nel giudizio di nuovi temi di indagine»;
  • «le “informazioni” che il consulente può domandare a terzi non possono trasformarsi in prove testimoniali, né avere ad oggetto documenti che era onere delle parti depositare». Le informazioni devono riguardare
    • fatti secondari e tecnici, non costitutivi,
    • il riscontro della veridicità dei documenti prodotti.

In tal senso depone anche la lettura sistematica delle norme, infatti, l’art. 87 disp. att. c.p.c. non ammette la possibilità di depositare documentazione durante le indagini peritali. Inoltre, quando la legge ha inteso attribuire al C.T.U. il potere di disamina di documenti non prodotti in giudizio, lo ha fatto espressamente, come con l’art. 198 c.p.c.; è proprio dalla suddetta norma, di carattere eccezionale, che si ricava l’impossibilità del consulente di acquisire documenti non previamente prodotti.

Nel caso in cui il C.T.U. travalichi i limiti dettati dal sistema, la conseguenza processuale è la nullità. Prima dell’introduzione delle preclusioni assertive e istruttorie nel processo civile (avvenuta con la legge 353/1990) si riteneva che la nullità – dipendente dall’aver acquisito documenti mai prodotti –fosse sanata, qualora l’eccezione non venisse sollevata nella prima difesa successiva al compimento dell’atto nullo . Nel tempo, quindi, si era consolidato l’orientamento per cui tutte le nullità della C.T.U. fossero relative e andassero eccepite nella prima difesa utile. Ebbene, tale impostazione deve ritenersi superata.

Infatti, le norme sulle preclusioni mirano ad attuare interessi generali, pertanto, sia che a violarle siano le parti che il consulente, la loro violazione è sempre rilevabile d’ufficio (Cass. Ord. 16800/2018; Cass. 7270/2008).

Si allega l’opuscolo esplicativo IL_CTU_2020