REGIME FORFETTARIO DICHIARAZIONI DA RIFARE: IL BOLLO SULLE FATTURE ADDEBITATO AI CLIENTI FA REDDITO

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Per i forfettari: il bollo addebitato ai clienti fa reddito. Dichiarazioni da rifare per chi non ha considerato l’importo nella determinazione forfettaria del reddito, sia per l’anno d’imposta 2021, l’ultimo autoliquidato, sia per quelli precedenti

Dichiarazioni da rifare per chi non ha considerato l’importo nella determinazione forfettaria del reddito, sia per l’anno d’imposta 2021, l’ultimo autoliquidato, sia per quelli precedenti. Rischio, raro ma possibile, che la rettifica del reddito con la maggiorazione dell’imposta di bollo determini la fuoriuscita dal regime agevolato per superamento dei 65mila euro, l’attuale limite massimo di ricavi e compensi fissato per la permanenza/accesso nel regime. Inoltre, porte chiuse per l’accesso al forfettario anche in caso di possesso di una quota di partecipazione in società di persone dichiarata fallita. Queste sono le due indicazioni fornite dall’agenzia delle entrate con le risposte n. 428 e 422 pubblicate lo scorso 12 agosto.

Il bollo fa reddito per il forfettario. Nella risposta n. 428, il quesito riguardava l’assoggettabilità o meno a tassazione, nell’ambito del regime forfettario, dell’imposta di bollo addebitata in fattura ai clienti. L’agenzia delle entrate sulla questione specifica che qualora vi sia il riaddebito al cliente dell’imposta di bollo, essendo il professionista soggetto passivo dell’imposta, questa fa parte integrante del suo compenso, con la conseguenza che il bollo risulta assimilato ai ricavi di cui all’articolo 1 comma 64 legge 190/2014 e concorre al calcolo volto alla determinazione forfettaria del reddito. Come indicato infatti nella risposta 67/E/2020, sebbene l’articolo 22 del dpr 642/1972 stabilisca che il pagamento del debito relativo all’imposta di bollo sia solidale tra il soggetto emittente la fattura ed il committente, l’obbligo di apporre il contrassegno sulle fatture o sulle ricevute è a carico del soggetto che consegna o spedisce il documento, in quanto per tali tipo di atti l’imposta di bollo è dovuta fin dall’origine, ossia dal momento della formazione. Il problema può sembrare di poco conto visto che si tratta di 2 euro di imposta per documento emesso (di importo superiore a 77,47 euro) ma, tale interpretazione, soprattutto per i forfettari che emettono un numero rilevante di documenti, può significare dover mettere mano alle dichiarazioni dei redditi presentate, sia quella per l’anno 2021 sia quelle per gli anni d’imposta pregressi con rischio, seppur limitato, di comportare casi di fuoriuscita dal regime per superamento dei 65 mila euro. L’agenzia sulla questione rimarca che tale interpretazione risulta in linea ed assimilata con quanto già esposto nella circolare 5/E/2021 in merito però ad altra casistica relativa al calcolo dei contributi a fondo perduto concessi durante l’emergenza sanitaria. Anche nel documento citato infatti, ai fini del calcolo del fatturato per determinare lo scostamento che dava diritto ai contributi, erano indicati da considerare come componenti “reddituali” sia i rimborsi spese (viaggio, vitto alloggio, ecc.) sia l’imposta di bollo addebitati in fattura al committente.

La società di persone fallita impedisce l’accesso al regime. L’interpello n.422 verte sulla tematica della possibilità di accesso al regime forfettario per un soggetto con partita iva e titolare di una quota di partecipazione in una società in accomandita semplice dichiarata fallita dal Tribunale competente nel corso del 2022. E’ opportuno ricordare che come previsto all’articolo 1 comma 57 lettera d) della legge 190/2014, non possono avvalersi del regime forfetario gli esercenti attività d’impresa, arti o professioni che partecipano, contemporaneamente all’esercizio dell’attività, a società di persone, ad associazioni o a imprese familiari di cui all’articolo 5 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 e ciò per evitare che la stessa tipologia di redditi (da impresa o di lavoro autonomo) sia assoggettata a diversi regimi di tassazione. L’agenzia nella risposta sostiene che risulta integrata la pocanzi indicata causa ostativa di accesso al regime agevolato poiché la dichiarazione di fallimento di una società non vale ad escludere in radice la possibile percezione di un reddito di partecipazione in capo al socio, essendo possibile, nel corso della procedura, l’esercizio provvisorio dell’impresa o, dopo la chiusura del fallimento per soddisfacimento integrale dei creditori, a seguito di cessazione dell’attività con conseguente ripartizione del residuo attivo.

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