IL CTU RISPONDE PENALMENTE, DISCIPLINARMENTE E CIVILMENTE DELLA ATTIVITA’ PRESTATA CON L’OBBLIGO DI RISARCIRE IL DANNO CAGIONATO
La sentenza n. 20532/2023 della Cassazione ribadisce che il giudice è tenuto a valutare l’intrinseca attendibilità del parere del CTU (Consulente Tecnico di Ufficio) nel processo. Il CTU è un esperto nominato dal giudice per fornire un parere tecnico su questioni specifiche inerenti al caso in esame.
Secondo la Cassazione, il giudice non può limitarsi ad accettare acriticamente il parere del CTU, ma deve svolgere una valutazione critica basata sui principi della logica e della scienza. Il giudice deve esaminare attentamente le argomentazioni e le conclusioni espresse dal CTU, verificandone la coerenza interna e confrontandole con altre prove o testimonianze presenti nel processo.
In altre parole, il parere del CTU non può essere considerato come un fatto indiscutibile o incontrovertibile, ma deve essere valutato dal giudice in modo critico, in relazione al contesto processuale e alle altre evidenze presenti nel caso. Questa valutazione può comportare la richiesta di un’ulteriore integrazione del parere del CTU o il rifiuto di accoglierlo se il giudice ritiene che non sia sufficientemente convincente o coerente.
La Corte di Cassazione sottolinea l’importanza del ruolo attivo del giudice nell’esaminare e valutare il parere del CTU, al fine di garantire una corretta e imparziale decisione nel processo e con la Sentenza sopra citata ha colto l’occasione per richiamare in termini generali quanto già posto in rilievo in precedenza, “e cioè che il C.T.U., pur non esercitando funzioni giudiziarie in senso tipico, svolge nell’ambito del processo una pubblica funzione quale ausiliare del giudice nell’interesse generale e superiore della giustizia, rispondendo penalmente, disciplinarmente e civilmente della prestata attività, con obbligo di risarcire il danno cagionato in violazione dei doveri connessi all’ufficio (v. Cass. 08/10/2019 n. 25022, Cass. 18/9/2015, n. 18313; Cass., 5/8/2010, n. 18170; Cass., 8/5/2008, n. 11229. E già Cass., 25/5/1973, n. 1545).
In termini particolari, la Corte d’appello si è posta in linea con l’ulteriore principio affermato dalla giurisprudenza di legittimità, ricorda la S.C. che anche se risalente, va condiviso e ribadito, secondo cui “la diligenza nell’esecuzione delle indagini affidategli, costituendo (a norma degli artt. 64 e 193 c.p.c.) un preciso, quanto ovvio, obbligo del consulente, rappresenta soltanto il presupposto necessario affinché il parere dell’ausiliario sia meritevole della considerazione del giudice, che, pertanto, non è dispensato dal dovere di valutare l’intrinseca attendibilità del parere stesso in rapporto alle specifiche censure contro di esso formulate dalla parte interessata (Cass. Sez. L, 15/06/1981 n. 3897).
Nella fattispecie esaminata, conclude comunque la S.C., “l’adesione, effettiva e raggiunta all’esito di un riesame critico del tutto idoneo alla consapevole appropriazione dei passaggi giustificativi delle proprie conclusioni, della Corte territoriale a quelle del consulente d’ufficio elide il nesso rispetto ad eventuali errori commessi dall’ausiliario nel compimento delle indagini affidategli”. Per cui, il ricorso è inammissibile.