PER IL CONSIGLIO DI STATO IL FINE LAVORI NON PROVA CHE L’EDIFICIO SIA CONFORME AL PROGETTO APPROVATO

Ordine di demolizione

Non è possibile utilizzare il completamento dei lavori come prova che l’edificio sia stato realizzato secondo il progetto approvato.

Il fatto è legato ad una ingiunzione di demolizione di un fabbricato rurale da parte del Comune di Salerno. La ricorrente ha sostenuto che il Comune aveva errato nel valutare il carattere di irreversibilità delle difformità, poiché queste potevano essere facilmente sanate con interventi di natura edilizia e architettonica.

Nel caso di specie, il giudice di merito aveva respinto le argomentazioni della ricorrente, ritenendo che le difformità riscontrate dal Comune comportassero una radicale alterazione dell’originario progetto e che quindi la demolizione dell’intero fabbricato fosse la misura proporzionata e adeguata da adottare.

Il Consiglio di Stato con la Sentenza n. 7644/2023, richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale, ai sensi degli artt. 31 e 32, D.P.R. 380/2001, si verificano le difformità totali del manufatto o le variazioni essenziali, se le opere edilizie sono riferite hanno portato alla realizzazione di un’opera diversa da quella munita del titolo autorizzativo , mentre si configura la difformità parziale quando le modificazioni apportate all’opera non influenzano in modo significativo gli elementi essenziali della costruzione. In altre parole, queste modifiche non causano divergenze qualitative o quantitative che potrebbero compromettere la stabilità o l’integrità dell’opera.

Le modificazioni che generano difformità parziale incidono su elementi particolari dell’opera, come ad esempio l’aspetto estetico o la funzionalità di determinate parti dell’edificio. Queste modifiche possono comportare divergenze rispetto al progetto originale, ma non compromettono le strutture essenziali dell’opera.

Ad esempio, se durante la costruzione di un edificio si decide di apportare modifiche al design degli infissi o dei rivestimenti esterni, queste modifiche potrebbero generare una difformità parziale. Tuttavia, queste modifiche non influenzerebbero la stabilità o la solidità delle strutture portanti dell’edificio.

In sostanza, la difformità parziale si verifica quando le modifiche apportate ad un’opera incidono solo su elementi specifici e non essenziali, senza compromettere la struttura e le componenti rilevanti per la solidità e la stabilità dell’opera.

Quindi, il Consiglio di Stato ha concluso che l’appellante non è riuscito a dimostrare in modo sufficiente che l’immobile fosse originariamente conforme alle norme edilizie e che le difformità siano state introdotte solo in seguito alla sua completamento.

L’appellante aveva invocato una dichiarazione sostitutiva come prova, ma il Consiglio ha ritenuto che questa dichiarazione non fosse sufficientemente affidabile o idonea a dimostrare la conformità dell’immobile. Inoltre, non sono stati presentati altri documenti validi che potessero fornire una prova sufficiente in merito.

In base a queste valutazioni, il Consiglio ha quindi respinto l’appello e ha confermato che l’immobile presentava delle difformità rispetto alle norme edilizie, chiarendo inoltre che la Pubblica Amministrazione non deve valutare l’eventualità di una possibile sanatoria nell’emettere l’ordinanza di demolizione, ma è sufficiente l’accertamento della mancata conformità dal progetto autorizzato. Nel merito anche la dichiarazione di ultimazione dei lavori che è il documento mediante il quale il responsabile dei lavori attesta che le opere edilizie sono state realizzate conformemente al progetto approvato e alle norme vigenti, non ha rilevanza probatoria per dimostrare la coincidenza del fabbricato originale con quello rappresentato nel progetto. (Cons. di Stato n. 2363/2014).

Inoltre, il CdS ha ribadito il proprio orientamento secondo cui l’art.34 del D.P.R. 380/2001è applicabile solo a quegli abusi edilizi che rientrano nella categoria della parziale difformità dal titolo abilitativo e che sono meno gravi. Ciò significa che per abusi edilizi più gravi, o che riguardano una totale difformità dal titolo abilitativo, non si può applicare la sanzione pecuniaria in sostituzion e a quella demolitoria.

L’articolo 34 del Decreto del Presidente della Repubblica (D.P.R.) 380/2001 riguarda la possibilità di sostituire la sanzione della demolizione con una sanzione pecuniaria nel caso di abusi edilizi meno gravi che riguardano una parziale difformità dal titolo abilitativo.

Il CdS secondo la fiscalizzazione dell’abuso ha ribadito il proprio orientamento secondo cui tale articolo è applicabile solo a quegli abusi edilizi che rientrano nella categoria della parziale difformità dal titolo abilitativo e che sono meno gravi. Ciò significa che per abusi edilizi più gravi, o che riguardano una totale difformità dal titolo abilitativo, non si può applicare la sanzione pecuniaria in sostituzione a quella demolitoria.

In sintesi, il Consiglio di Stato ha confermato che l’articolo 34 del D.P.R. 380/2001 può essere applicato solo in specifici casi di abusi edilizi meno gravi riferibili alla parziale difformità dal titolo abilitativo, mentre per gli altri casi più gravi la sanzione pecuniaria non può essere considerata come alternativa alla demolizione.

LA SENTENZA