FACCIATE E BALCONI: LA RIPARTIZIONE DELLE SPESE

Facciate e balconi: ripartizione spese

La facciata è l’insieme delle linee architettoniche e delle strutture ornamentali che connotano l’edificio, imprimendogli una propria fisionomia autonoma e un particolare pregio estetico. Ne deriva che la facciata rappresenta, quindi, l’immagine stessa dell’edificio, l’involucro esterno e visibile nel quale rientrano, senza differenza e aldilà delle esposizioni, sia la parte anteriore, frontale e principale che gli altri lati dello stabile

Le facciate condominiali con la legge di riforma del condominio N. 220/2012 vengono annoverate al numero n. 1 dell’art. 1117 c.c. tra le parti dell’edificio necessarie e di uso comune, pertanto ai sensi dell’art. 1102 c.c., ciascuno condomino può “servirsi della cosa comune” a patto però che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto.

Nonostantee la facciata è cosa diversa e distinta dal muro maestro, poiché mentre quest’ultimo ha la funzione portante dell’edificio la facciata è la sua superficie esterna, che rileva dunque non tanto ai fini dell’esistenza dell’edificio quanto in relazione al suo aspetto esteriore, con la conseguenza che gli interventi che interessano la facciata dovranno avere riguardo soprattutto al divieto di alterare il decoro architettonico dell’edificio, mentre quelli riguardanti i muri maestri rileveranno in relazione al divieto di pregiudicare la sicurezza e la stabilità dell’edificio stesso, la Corte Cassazione civile sez. VI, 24/09/2020, (ud. 15/07/2020, dep. 24/09/2020), n.20003 ha ribadito, che la facciata di prospetto di un edificio rientra nella categoria dei muri maestri, ed, al pari di questi, costituisce una delle strutture essenziali ai fini dell’esistenza stessa dello stabile unitariamente considerato, sicché, nell’ipotesi di condominialità del fabbricato, ai sensi dell’art. 1117 c.c., n. 1, ricade necessariamente fra le parti oggetto di comunione fra i proprietari delle diverse porzioni dello stesso e resta destinata indifferenziatamente al servizio di tutte tali porzioni, con la conseguenza che le spese della sua manutenzione devono essere sostenute dai relativi titolari in misura proporzionale al valore delle rispettive proprietà (Cass. Sez. 2, 30/01/1998, n. 945).

E’ infatti, l’uso che ciascun condomino può fare della facciata esterna del fabbricato e indipendentemente dal fatto che la stessa si trovi o meno in corrispondenza alla parte di edificio di sua proprietà esclusiva. A tali spese partecipano anche i proprietari delle autorimesse e dei box interrati, se fanno parte integrante dell’edificio e non si trovino in corpi di fabbrica separati.

In merito ai balconi, in particolare quelli “aggettanti” , cioè quelli che sporgendo dalla facciata dell’edificio costituendo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono devono essere considerati di proprietà comune, l’ orientamento giurisprudenziale stabilisce che, “ i balconi aggettanti costituiscono solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono e, non svolgendo alcuna funzione di sostegno né di necessaria copertura dell’edificio, come, viceversa, accade per le terrazze a livello incassate nel corpo dell’edificio, non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di proprietà comune dei proprietari di tali piani e ad essi non può applicarsi il disposto dell’art. 1125 c.c. I balconi aggettanti, pertanto, rientrano nella proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono“. (Cass.Civ. Sez. II, 27.07.2012, sentenza N. 13509). Essi fanno parte della facciata solo per la parte frontale e per quella inferiore, i così detti sottobalconi, esclusivamente nel caso in cui gli elementi decorativi incidono sul decoro dell’edificio.((cfr. Cass. 30 luglio 2004 n. 14576; Cass. Civ. Sez II del 19.05.2015, sentenza n. 10 209; Cass. Civ, Sez.II, 29.10.2018 ordinanza n. 27413).

Una sentenza della Cassazione ricorrendo al concetto di decoro architettonico nel definirlo quale bene comune stabilisce: “Mentre i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell’art. 1117 c.c., non essendo necessari per l’esistenza del fabbricato, né essendo destinati all’uso o al servizio di esso, il rivestimento del parapetto e della soletta devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono una prevalente funzione estetica per l’edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole.Ne consegue che l’azione di un condomino diretta alla demolizione, al ripristino, o comunque al mutamento dello stato di fatto di tali elementi deve essere proposta nei confronti di tutti i partecipanti del condominio, quali litisconsorti necessari“. (Cass. Civ. Sez. II del 14.12.2017, sentenza n. 30071).

La Suprema Corte di Cassazione stabilisce che: “il decoro risulta dall’insieme delle linee e dei motivi architettonici e ornamentali che costituiscono le note uniformi dominanti ed imprimono alle varie parti dell’edificio stesso nel suo insieme, dal punto di vista estetico, una determinata fisionomia, unitaria ed armonica, e dal punto di vista architettonico una certa dignità più o meno pregiata e più o meno apprezzabile. Esso è opera particolare di colui che ha costruito l’edificio e di colui che ha redatto il progetto, ma una volta ultimata la costruzione costituisce un bene cui sono direttamente interessati tutti i condomini e che concorre a determinare il valore sia delle proprietà individuali che di quella collettiva sulle parti comuni” (Cass. n. 1472/1965).

Per la giurisprudenza amministrativa, occorre il consenso del condominio quando si vuole realizzare o sanare opere che modifichino la facciata dell’edificio e ciò anche quando le innovazioni sulle parti comuni potrebbero non avere alcuna rilevanza estetica (Cons. Stato, Sez. IV, 26 giugno 2012, n. 3772; Sez. IV, 10 marzo 2011, n. 1566). Tuttavia, con la sentenza n. 10583/2019 la Suprema Corte ha ribadito che una modifica della facciata condominiale non può essere considerata pregiudizievole per il decoro architettonico laddove l’estetica dell’edificio risulti già menomata da precedenti interventi.

La modifica del decoro di uno stabile necessita di una votazione, o un accordo extra-assembleare, unanime da parte di tutti i partecipanti al condominio. L’ultimo comma dell’art. 1120 c.c. vieta le innovazioni che, per quanto migliorative e accrescitive del valore del fabbricato, possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza dello stesso, alterarne il decoro architettonico o rendere talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.Generalmente le innovazioni, per essere valide, devono essere votate, almeno, dalla maggioranza dei partecipanti al condominio che rappresentino i 2/3 del valore dell’edificio, tuttavia una simile maggioranza, per quanto considerevole, non è sufficiente per rendere valida una delibera modificativa del decoro architettonico.

LA SENTENZA Cassazione civile sez. II, 16/04/2019, (ud. 08/11/2018, dep. 16/04/2019), n.10583

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso n. 29630 – 2014 R.G. proposto da:

G.L., – c.f. (OMISSIS) – (condomino del condominio exhttps://7fcd68ea907b037c6a73784e045106f6.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-38/html/container.html

“(OMISSIS)”, (OMISSIS)), rappresentato e difeso in virtù di procura

speciale in calce al ricorso dall’avvocato Genoveffa Sellitti,

dall’avvocato Massimiliano Cesare e dall’avvocato Maria Rosaria

Manselli; elettivamente domiciliato in Roma, alla via dei Tre

Orologi, n. 14/a, presso lo studio dell’avvocato Francesco Bellini.

– ricorrente –

contro

S.G., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato, con

indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata, in

Anacapri, alla via Catena, n. 10, presso lo studio dell’avvocato

Mario Del Savio che lo rappresenta e difende in virtù di procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della corte d’appello di Napoli n. 3735 deihttps://7fcd68ea907b037c6a73784e045106f6.safeframe.googlesyndication.com/safeframe/1-0-38/html/container.html

28.6/25.10.2013;

udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica dell’8

novembre 2018 dal consigliere Dott. Luigi Abete;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore

generale Dott. TRONCONE Fulvio, che ha concluso per il rigetto del

primo motivo e per la declaratoria di inammissibilità, in subordine

per il rigetto, del secondo motivo, udito l’avvocato Maria Rosaria

Manselli per il ricorrente.

FATTI DI CAUSA

Con atto notificato in data 5.6.2006 il condominio dell’ex “(OMISSIS)” di (OMISSIS), citava a comparire dinanzi al tribunale di Napoli, sezione distaccata di Capri, il condomino S.G..

Premetteva che il convenuto aveva arbitrariamente aperto nel marzo del 2006 una finestra nel muro condominiale, sul lato ovest del fabbricato. Indi esponeva che l’apertura costituiva uso indebito della cosa comune e comprometteva la statica e l’estetica del fabbricato, di notevole prestigio e valore storico; altresì che l’apertura violava le norme in materia di distanze tra costruzioni, tra costruzioni e vedute e tra vedute. Chiedeva che il tribunale condannasse il convenuto al ripristino dello status quo ante ed al risarcimento dei danni.

S.G. si costituiva.

Instava per il rigetto dell’avversa domanda.

All’esito dell’istruzione probatoria, con sentenza n. 72/2009 l’adito tribunale condannava il convenuto al ripristino dello status quo ante ed alle spese di lite. S.G. proponeva appello. Chiedeva “dichiarare la legittimità della finestra (…), ovvero, in via gradata, limitare l’ordine di abbattimento (…) alle sole parti accessorie della finestra”

Resisteva il condominio; esperiva appello incidentale in ordine al mancato riconoscimento delle spese di c.t.u..

Con sentenza n. 3735 dei 28.6/25.10.2013 la corte d’appello di Napoli accoglieva il gravame principale e, per l’effetto, rigettava la domanda esperita in prime cure dal condominio, reputava in tal guisa assorbito l’appello incidentale e compensava integralmente le spese del doppio grado e di c.t.u.. Esplicitava la corte che le doglianze azionate dal condominio attore, ritenute dal tribunale assorbite nell’accoglimento della domanda attorea correlata alla violazione del decoro architettonico, non erano “state espressamente riproposte dal Condominio in appello ex art. 346 c.p.c. e pertanto non (potevano) essere (…) esaminate” (così sentenza d’appello, pag. 5).

Esplicitava inoltre che, così come aveva evidenziato il c.t.u., la finestra oggetto di contestazione era visibile in parte dal cortile condominiale ed in toto dall’ingresso dell’appartamento frontistante posto al primo piano e quindi non era “assolutamente visibile dal resto dell’area condominiale e dalle restanti unità abitative costituenti la villa” (così sentenza d’appello, pag. 6); che al contempo la finestra realizzata dall’appellato si apriva “nella facciata in modo del tutto analogo ad altra sottostante finestra, evidentemente anch’essa in precedenza oggetto d’intervento modificativo sul muro comune da parte di altro condomino”

Esplicitava dunque che, sia in considerazione dell’ubicazione della finestra sia in considerazione dell’incidenza di precedenti interventi modificativi, era da escludere che la finestra aperta da S.G. avesse “alterato il decoro architettonico del fabbricato, già compromesso da preesistenti abusi tollerati dal condominio”.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso G.L., condomino del condominio ex “(OMISSIS)”, di (OMISSIS); ne ha chiesto sulla scorta di due motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.

S.G. ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

Il ricorrente ha depositato memoria.

Con ordinanza interlocutoria dei 5.2/6.6.2018 il presente procedimento è stato rimesso alla pubblica udienza della seconda sezione civile di questa Corte.

Diritto

Con il primo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1102 c.c.; ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia.Deduce che la corte di merito non ha tenuto conto dell’elaborazione giurisprudenziale di legittimità, in virtù della quale integra alterazione del decoro architettonico qualsiasi intervento, ancorchè non deturpante ed ancorchè limitato a singoli elementi o punti del fabbricato, che ne modifichi l’aspetto complessivo e lo renda nell’insieme disarmonico. Deduce altresì che la corte distrettuale ha, contraddittoriamente, da un canto, reputato legittima l’apertura della finestra, siccome il decoro architettonico dell’edificio era già stato deturpato da pregressi tollerati interventi; ha, d’altro canto, dato atto dell’”indiscutibile pregio storico ed architettonico dell’edificio, tanto da (…) compensare le spese del giudizio per tale motivo”.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 l’omessa motivazione su punto decisivo della controversia ex artt. 873 e 907 c.c. e ss. Premette che con l’atto introduttivo del giudizio di prime cure si era al contempo sollecitato l’accertamento della violazione dell’art. 1102 c.c. in dipendenza dell’uso indebito della cosa comune nonchè l’accertamento della violazione delle norme in materia di distanze tra costruzioni, tra costruzioni e vedute e tra vedute. Indi deduce che il condominio appellato, vittorioso in prime cure e quindi non tenuto alla proposizione di appello incidentale, ha provveduto a “richiamare pedissequamente tutte le difese contenute negli atti difensivi” (così ricorso, pag. 10); che dunque la corte territoriale ha omesso in toto qualsivoglia indagine “relativa alla fondatezza delle altre domande che pur erano state devolute al suo esame”.

Il primo motivo di ricorso è destituito di fondamento.

Si rappresenta previamente che il primo mezzo di impugnazione, nonostante l’enunciazione di cui alla rubrica, non involge, alla stregua dei rilievi che sostanzialmente veicola, la possibile violazione o falsa applicazione dell’art. 1102 c.c.(rubricato “uso della cosa comune”) e si risolve, in fondo, nella censura del giudizio “di fatto” cui la corte di Napoli ha atteso circa l’alterazione del decoro architettonico dell’ex “(OMISSIS)” (“lo stesso giudice, proseguendo nel contraddittorio ragionamento, ha (…) ritenuto già deturpato il decoro architettonico dell’edificio, da interventi preesistenti tollerati dagli altri comproprietari”.

Si condivide dunque l’assunto del controricorrente, secondo cui “il motivo di impugnazione in parola rappresenta di certo una (…) censura di merito” . Il primo motivo di ricorso pertanto si qualifica in via esclusiva in relazione alla previsione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Invero è il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. sez. un. 25.11.2008, n. 28054).Del resto la valutazione in ordine all’alterazione ed alla lesione del decoro architettonico spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità, ove non presenti vizi di motivazione (cfr. Cass. 11.5.2011, n. 10350; Cass. 7.3.1988, n. 2313).

Su tale scorta si rappresenta inoltre che l’asserito vizio motivazionale che il motivo in disamina prospetta, è da vagliare in rapporto alla novella formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile alla fattispecie ratione temporis (la sentenza impugnata è stata depositata in data 25.10.2013), e nel segno della pronuncia n. 8053 del 7.4.2014 delle sezioni unite di questa Corte.

In quest’ottica si rappresenta ulteriormente quanto segue.

Per un verso, è da escludere recisamente che taluna delle figure di “anomalia motivazionale” destinate ad acquisire significato alla stregua della pronuncia delle sezioni unite testè menzionata – tra cui non è annoverabile il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – possa scorgersi in relazione alle motivazioni cui la corte napoletana ha ancorato il suo dictum.

In particolare, con riferimento al paradigma della motivazione “apparente” – che ricorre allorquando il giudice di merito non procede ad una approfondita disamina logico – giuridica, tale da lasciar trasparire il percorso argomentativo seguito (cfr. Cass. 21.7.2006, n. 16672) – la corte partenopea ha – siccome si è anticipato – compiutamente ed intellegibilmente esplicitato il proprio iter argomentativo.

Per altro verso, la corte d’appello ha sicuramente disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante in parte qua agitur la res litigiosa, ovvero l’attitudine della finestra aperta da S.G. nel muro condominiale, sul lato ovest della ex “(OMISSIS)”, ad alterare o meno il decoro architettonico.

Per altro verso ancora, nel vigore del nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è più configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4 (cfr. Cass. (ord.) 6.7.2015, n. 13928).

I rilievi che precedono, beninteso, non escludono che l’impugnato dictum si innesta a pieno titolo nel solco di un significativo filone dell’elaborazione giurisprudenziale di questa Corte (cfr. Cass. 26.2.2009, n. 4679, secondo cui, in tema di condominio, non può avere incidenza lesiva del decoro architettonico di un edificio un’opera modificativa compiuta da un condomino, quando sussista degrado di detto decoro a causa di preesistenti interventi modificativi di cui non sia stato preteso il ripristino; Cass. 10.12.2014, n. 26055; Cass. 17.10.2007, n. 21835, secondo cui, nel condominio degli edifici, la lesività estetica dell’opera abusivamente compiuta da uno dei condomini – che costituisca l’unico contestato profilo di illegittimità dell’opera stessa – non può assumere rilievo in presenza di una già grave evidente compromissione del decoro architettonico dovuto a precedenti interventi sull’immobile; Cass. 29.7.1989, n. 3549, secondo cui, al fine di stabilire se le opere modificatrici della cosa comune abbiano pregiudicato il decoro architettonico di un fabbricato condominiale, devono essere tenute presenti le condizioni in cui quest’ultimo si trovava prima della esecuzione delle opere stesse, con la conseguenza che una modifica non può essere ritenuta pregiudizievole per il decoro architettonico se apportata ad un edificio la cui estetica era stata già menomata a seguito di precedenti lavori).

Il secondo motivo di ricorso del pari non merita seguito.

Si rappresenta che il secondo mezzo di impugnazione, nonostante l’enunciazione di cui alla rubrica, veicola non già una censura per omissione di motivazione, sibbene, a rigore, una censura per omissione di pronuncia (“su tutte le domande articolate da parte attorea in primo grado e devolvendo quindi il medesimo esame alla Corte di Appello (…), la Corte avrebbe dovuto portare il suo esame”. D’altronde il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (cfr. Cass. (ord.) 27.11.2017, n. 28308; Cass. 16.5.2012, n. 7653). Su tale scorta si rappresenta ulteriormente che la censura di omessa pronuncia che il motivo di ricorso adduce, non può considerarsi formulata in modo rituale. Tanto specificamente alla luce dell’insegnamento delle sezioni unite di questa Corte n. 17931 del 24.7.2013. Invero le sezioni unite spiegano che, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte dell’impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni proposte, non è indispensabile che faccia esplicita menzione della ravvisabilità della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riguardo all’art. 112 c.p.c., purchè il motivo rechi univoco riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione, dovendosi, invece, dichiarare inammissibile il gravame allorchè sostenga che la motivazione sia mancante o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge (cfr. altresì Cass. 29.11.2016, n. 24247). Ebbene è innegabile che il mezzo di impugnazione in esame non solo non contiene alcun riferimento alla nullità della decisione, ma prospetta appunto, alla luce dell’enunciazione di cui alla rubrica, l’omissione della motivazione. Si rappresenta, sotto altro profilo, che l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al giudice di legittimità ove sia denunciato un “error in procedendo”, presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena, appunto, di inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta nello stesso ricorso per cassazione, per il principio di “autosufficienza” di esso (cfr. Cass. (ord.) 29.9.2017, n. 22880; Cass. 20.9.2006, n. 20405).

E si rappresenta ancora che anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione “errores in procedendo”, in relazione ai quali la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto; con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità, diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (cfr. Cass. 20.7.2012, n. 12664). Su tale premessa ben avrebbe dovuto il ricorrente, in ossequio appunto al canone di cosiddetta “autosufficienza”, riprodurre più o meno testualmente nel corpo del ricorso “il richiamo operato (…) su tutte le eccezioni sollevate in prime cure” (così ricorso, pag. 10) nella comparsa di costituzione in seconde cure con appello incidentale. In dipendenza del rigetto del ricorso il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.Si dà atto che il ricorso è datato 30.11.2014. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, si dà atto altresì della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, D.P.R. cit..

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, G.L., a rimborsare al controricorrente, S.G., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis, cit..

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della II sez. civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 8 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2019