Corte di Cassazione Sent. n.4139 del 12/2017

Oggetto: L’ampliamento volumetrico si classifica come ristrutturazione edilizia

CORTE DI CASSAZIONE Sent. n. 4139 del 13 dicembre 2017

RITENUTO IN FATTO
1. La Corte di appello di Lecce, con sentenza del 5/12/2016 ha riformato, eliminando la subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena alla demolizione e riduzione in pristino nei confronti di due imputati, la decisione con la quale, in data 15/12/2014, il Tribunale di Brindisi aveva affermato la responsabilità penale di xxx, yyy e zzz per i reati di cui agli artt. 181 d.lgs. 42\2004 e 44, lett. c) d.P.R. 380\01, perché il primo quale proprietario committente, il secondo quale progettista e direttore dei lavori, il terzo quale assuntore dei lavori, effettuavano senza valido titolo (avendo presentato unicamente una d.i.a.), in area sottoposta a vincolo paesaggistico, l’ampliamento di un immobile preesistente consistito nella realizzazione di un vano tecnico e di un bagno a solaio piano, un muro in tufo e pietra con trave in cls e sedute in tufo (in Cisternino, accertato il 16/5/2013).

Avverso tale pronuncia i predetti propongono congiuntamente ricorso per cassazione tramite i propri difensori di fiducia, deducendo i motivi di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.

2. Con un primo motivo di ricorso denunciano la violazione di legge ed il vizio dimotivazione, rappresentando che la zona oggetto di intervento non sarebbe soggetta a vincolo paesaggistico, come dimostrato dalla delimitazione dell’area vincolata ad opera del d.m. 23/1/1970, che non ricomprende quella ove insistono le opere realizzate e non risultando operante, nella fattispecie, il Piano TerritorialeTematico del paesaggio (PUTT).


3. Con un secondo motivo di ricorso osservano che, anche sulla base delle
risultanze istruttorie, le opere realizzate avrebbero natura pertinenziale e, come tali,
non necessitavano del permesso di costruire. Aggiungono che la d.i.a. che
riguardava detti interventi sarebbe stata legittimamente presentata quale unico
titolo necessario, configurandosi, nella fattispecie, una manutenzione straordinaria.
4. Con un terzo motivo di ricorso lamentano la violazione di legge ed il vizio di
motivazione in relazione alla posizione di zzz, la cui responsabilità
sarebbe stata ricavata esclusivamente dalla sottoscrizione dell’accettazione di
incarico e dal deposito del DURC della sua impresa.
5. Con un quarto motivo di ricorso deducono la violazione di legge ed il vizio di
motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, ritenuto eccessivo.
6. Con un quinto motivo di ricorso evidenziano che, avuto riguardo alla
prescrizione del reato, comunque maturata dopo la decisione impugnata, i giudici
del gravame non avrebbero applicato il principio del favor rei.
7. Insistono pertanto per l’accoglimento dei ricorsi e per il conseguente
annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono infondati.
2. Va rilevato, con riferimento al primo motivo di ricorso, che sulla efficacia del
Piano Territoriale Tematico del paesaggio (PUTT) ai fini della disciplina
paesaggistica, come peraltro ricordato nella sentenza impugnata, questa Corte si è
già pronunciata.
In particolare, si è recentemente ribadito che il PUTT della Regione Puglia
configura un intervento di pianificazione a carattere generale (e non un intervento
speciale, limitato alle sole aree vincolate), che legittimamente estende la propria
efficacia a tutto il territorio regionale, anziché limitarsi soltanto ai beni ed alle aree
elencate nel d.RR. n. 616 del 1977, art. 82, comma 5 (come successivamente
modificato) ovvero alle aree già sottoposte ad uno specifico vincolo paesistico,
secondo le procedure originariamente previste dalla I. n.1497 del 1939. Il d.lgs. n. 42
del 2004, inoltre, non ha innovativamente affermato ma ha ribadito (tenuto conto
della delega alle Regioni conferita dal d.P.R. n. 616 del 1977, art. 82) il principio
secondo il quale l’individuazione dei beni paesaggistici spetta sia alle Regioni,
mediante appositi atti amministrativi, leggi regionali o compilazione dei piani
urbanistici territoriali, sia al Ministero dei beni culturali ed ambientali, mediante
decreto ministeriale (così, in motivazione, Sez. 3, n. 5435 del 25/10/2016 (dep.
2017), Rizzello, Rv. 269773. Conf. Sez. 3, n. 41078 del 20/9/2007, Simone e altri, Rv.
238098).
3. Ne consegue che del tutto correttamente la Corte territoriale ha considerato
non dirimente la questione relativa alla inclusione o meno dell’area interessata dai
lavori nella zona individuata dal d.m. 22/1/1970 come soggetta a vincolo
paesaggistico.
I giudici dell’appello hanno in particolare rilevato che, nella fattispecie, gli
interventi erano stati eseguiti su un “trullo” ricadente in zona A3 – “aree di interesse
per la salvaguardia paesistica ed ambientale” del PRG vigente e ricadente in ambito
territoriale esteso di valore rilevante “B” ai sensi del PUTT/P, annessa alla
componente morfologica “dolina” e “zona trulli” rientrante nell’area nota come Valle
d’Itria e soggetta a quanto stabilito dalle N.T.A. del PUTT, art. 5.01.
Il PUTT, nella valutazione del vincolo fa riferimento, secondo quanto riferito
dalla Corte territoriale, alla “zona trulli” facente parte dell’area nota come “Valle
d’Itria” ed il trullo, per le sue intrinseche caratteristiche, rientra senz’altro tra i beni
paesaggistici di cui agli artt. 134 e 136 d.lgs. 42\2004
4. Ulteriore circostanza di rilevo, inoltre, è data dal fatto, opportunamente
indicato dai giudici dell’appello, che la sussistenza del vincolo era ben nota agli
imputati, i quali nella relazione di asseveramento allegata alla d.i.a. dichiaravano che
la natura delle opere da eseguire, non alterando lo stato dei luoghi e l’aspetto
esteriore dell’edificio, non richiedeva il preventivo rilascio dell’autorizzazione
paesaggistica.
5. Quanto al secondo motivo di ricorso, i giudici del merito hanno accertato in
fatto che gli interventi eseguiti avevano comportato un ampliamento del
preesistente edificio, con predisposizione di un muro con aperture e sporgenze tali
da far ragionevolmente prevedere la successiva collocazione di un pergolato.
La natura e consistenza delle opere realizzate, che la Corte di appello evidenzia
essere dimostrata dalla documentazione fotografica e dalle dichiarazioni di un
testimone qualificato, dando atto anche del fatto che il primo giudice aveva chiarito
che le stesse avevano comportato un aumento di volumetria e superfici, nonché
modifiche di sagoma e prospetti, ne esclude radicalmente la natura pertinenziale.
6. Invero si è avuto modo di affermare, ripetutamente, che l’ampliamento di un
fabbricato preesistente non può essere considerato pertinenza, diventando parte
dell’edificio di cui completa, una volta realizzato, la struttura per meglio soddisfare i
bisogni cui è destinato in quanto privo di autonomia rispetto all’edificio medesimo
(Sez. 3, n. 20349 del 16/3/2010, Catania, Rv. 247108; Sez. 3, n. 28504 del
29/5/2007, Rossi, Rv. 237138; Sez. 3, n. 33657 del 12/7/2006, Rossi, Rv. 235382 ed
altre prec. conf.).
Tale principio, condiviso dal Collegio, deve pertanto essere qui ribadito.
7. La semplice descrizione delle opere eseguite come accertata nel giudizio di
merito evidenzia la correttezza della qualificazione dell’intervento come
ristrutturazione edilizia effettuata dal primo giudice e confermata dalla Corte
territoriale.
[articolo 10, comma primo, lettera c) d.P.R. 380\01 indica come soggetti a
permesso di costruire gli “gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un
organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino
modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, ovvero che,
limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti
della destinazione d’uso, nonché’ gli interventi che comportino modificazioni della
sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio
2004, n. 42 e successive modificazioni”.
Tali interventi sono così descritti dall’articolo 3, comma primo, lettera d) del
medesimo d.P.R. “gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un
insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o
in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la
sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell’edificio, l’eliminazione, la modifica e
l’inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell’ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricom presi anche quelli consistenti nella demolizione e
ricostruzione con la stessa volumetria di quello preesistente, fatte salve le sole
innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica nonché quelli
volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso
la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza.
Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del
decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, gli interventi di
demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti
costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove sia rispettata la
medesima sagoma dell’edificio preesistente:”.
Come è agevole rilevare dal dato letterale della disposizione, tra gli elementi
caratterizzanti la ristrutturazione edilizia figurano, tra l’altro, le modifiche
volumetriche e gli altri interventi che la Corte territoriale ha ritenuto dimostrati.
8. Il terzo motivo di ricorso, riguardante la posizione del zzz, è in gran
parte articolato in fatto.
In ogni caso, i giudici del merito hanno del tutto correttamente rilevato la
responsabilità dell’imputato sulla base della documentazione dallo stesso
sottoscritta, dalla quale emerge la piena consapevolezza della natura e consistenza
dell’intervento da realizzare.
La sentenza impugnata correttamente richiama la giurisprudenza di questa
Corte che ha chiarito come sull’esecutore dei lavori edilizi incomba l’obbligo di una
preventiva verifica dell’esistenza del titolo abilitativo, la violazione del quale
comporta responsabilità, a titolo di dolo, nel reato urbanistico in caso di inizio delle
opere nonostante l’accertamento negativo e a titolo di colpa nell’ipotesi di omesso
accertamento (Sez. 3, n. 16802 del 8/4/2015, Carafa e altro, Rv. 263474; Sez. 3, n.
860 del 25/11/2004 (dep. 2005), Cima, Rv. 230663), ricordando anche, con
riferimento al reato paesaggistico, che lo stesso non disciplina una ipotesi di “reato
proprio” e non ha quindi come destinatari soltanto i proprietari del bene vincolato ed
i soggetti a questi equiparati ovvero i committenti di “lavori di qualsiasi genere su
beni paesaggistici”, ma sanziona chiunque trasgredisca le disposizioni poste a
tutela dei vincoli (Sez. 3, n. 40434 del 13/7/2006, Gambino, Rv. 236270).
9. Quanto al trattamento sanzionatorio, di cui tratta il quarto motivo di ricorso,
va ricordato che il giudice, nel quantificare la pena, opera una valutazione
complessiva sulla base dei criteri direttivi fissati dall’articolo 133 cod. pen.
La determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale
rientra nell’ampio potere discrezionale attribuito al giudice di merito, che risulta
legittimamente esercitato anche attraverso la globale considerazione degli elementi
indicati nella richiamata disposizione (Sez. 4, n. 41702 del 20/9/2004, Nuciforo, Rv.
230278). Non è inoltre richiesto al giudice di procedere ad una analitica valutazione
di ogni singolo elemento esaminato, ben potendo assolvere adeguatamente
all’obbligo di motivazione limitandosi anche ad indicarne solo alcuni o quello
ritenuto prevalente (v. Sez. 2, n. 12749 del 19/3/2008, Gasparri e altri, Rv. 239754).
Nella fattispecie, la Corte territoriale ha adeguatamente ritenuto l’entità della
pena giustificata dalla entità delle opere realizzate che hanno modificato la sagoma
di un antico trullo.
10. Per ciò che riguarda, infine, la prescrizione del reato, di cui al quinto motivo
di ricorso, va ricordato che il principio del “favor rei”, per cui, nel dubbio sulla data di
decorrenza del termine di prescrizione, il momento iniziale va fissato in modo che
risulti più favorevole all’imputato, va applicato solo in caso di incertezza assoluta
sulla data di commissione del reato o, comunque, sull’inizio del termine di
prescrizione, ma non quando sia possibile eliminare tale incertezza, anche se
attraverso deduzioni logiche, del tutto ammissibili (Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007
(dep. 2008), Cilia, Rv. 238850, citata anche in ricorso).
Ciò posto, deve rilevarsi, alla luce di tale condivisibile principio, che dalla mera
constatazione dell’avvenuta ultimazione delle opere abusive all’atto
dell’accertamento non può meccanicamente scaturire una situazione di incertezza
sulla data del commesso reato.
Si è infatti a tale proposito affermato che in tema di reati edilizi, l’incertezza
assoluta sulla data di commissione del reato o, comunque, sull’inizio del termine di
prescrizione che consente l’applicazione del principio del favor rei non ammette
alcun automatismo e deve risultare da dati obiettivi. Il giudice è comunque tenuto
all’indicazione delle ragioni per le quali non è possibile pervenire, anche sulla base
di deduzioni logiche, ad una più puntuale collocazione temporale dell’intervento
abusivo (Sez. 3, n. 7065 del 7/2/2012, Croce, non massimata).
Tale principio deve pertanto essere qui ribadito.
11. Ciò posto, si osserva che la Corte territoriale, considerando che le opere
risultavano ultimate alla data di accertamento, ha del tutto coerentemente
affermato che, in ogni caso, i lavori non potevano che avere avuto inizio dopo il
trentesimo giorno dalla data di presentazione della d.i.a. (12/12/2011), il che rende
del tutto plausibile che l’ultimazione degli stessi sia avvenuta in data prossima a
quella dell’accertamento (16/5/2013), senza, dunque, alcuna incertezza tale da
giustificare una diversa decorrenza del termine quinquennale, peraltro allo stato non
ancora spirato.
12. I ricorsi devono pertanto essere rigettati, con le consequenziali statuizioni
indicate in dispositivo.

La suscritta sentenza della Corte di Cassazione NON è una copia ufficiale