ABUSO EDILIZIO: TAR CAMPANIA SEZ.IV Sent. n.5643 del 22 novembre 2017

Oggetto: L’INSERIMENTO DI UN BALCONE,IN RAGIONE DELL’INCREMENTO DI SUPERFICIE (ancorché accessoria) CHE COMPORTA E, COMUNQUE, PER EFFETTO DELLA MODIFICA DEI PROSPETTI, NON PUÒ QUALIFICARSI COME INTERVENTO DI RISTRUTTURAZIONE EDILIZIA
Abuso Edilizio -Modifica dei prospetti

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9458 del 2001, proposto da **** ****, rappresentata e difesa dall’avvocato **** ****, con domicilio eletto presso il suo studio in Napoli;

contro

Comune di Napoli, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocatura comunale, con domicilio eletto in Napoli, presso gli uffici dell’Avvocatura medesima;

per l’annullamento

dell’ordine di demolizione n° 452 del 6 luglio 2001.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Napoli;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 novembre 2017 il dott. Umberto Maiello e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

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FATTO e DIRITTO

Con il gravame in epigrafe la ricorrente impugna l’ordine di demolizione n° 452 del 6 luglio 2001 avente ad oggetto le opere abusive eseguite e consistenti nella “Costruzione di un balcone di m. 1,30 X 7,00 previa trasformazione della preesistente finestra in un vano di accesso allo stesso”.

Avverso tale atto ed a sostegno della spiegata azione impugnatoria la ricorrente deduce:

1) l’insufficienza del corredo motivazionale dell’atto impugnato anche sotto il profilo della concreta eseguibilità dell’intervento di rimessione in pristino senza pregiudizio per le preesistenze legittimamente edificate; 2) l’opera sarebbe riconducibile alla categoria di intervento della manutenzione straordinaria, eseguibile senza permesso di costruire e, dunque, suscettiva solo di sanzione pecuniaria; 3) violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento amministrativo ex articoli 7 e ss della legge n. 241/1990.

Resiste in giudizio il Comune di Napoli, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

All’udienza del 22.11.2017 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

Il ricorso è infondato e, pertanto, va respinto.

Prive di pregio si rivelano, anzitutto, le doglianze con cui la parte ricorrente lamenta la violazione delle garanzie di partecipazione al procedimento, la cui cura è imposta all’Autorità procedente dall’art. 7 della legge 241/1990 ovvero, nei procedimenti ad istanza di parte, anche dall’art. 10 bis della medesima legge.

L’infondatezza delle censure in esame discende, invero, come già ripetutamente affermato dalla giurisprudenza (cfr., tra le tante, sentenze TAR Campania, Napoli, n. 1847 del 30 marzo 2011 e n. 8776 del 25 maggio 2010) e dal giudice d’appello (cfr. Cons. Stato, sezione quarta, 5 marzo 2010, n. 1277), dalla ineluttabilità della sanzione repressiva comminata dal Comune di Napoli, anche a cagione dell’assenza – come di seguito meglio evidenziato – di specifici e rilevanti profili di contestazione in ordine ai presupposti di fatto e di diritto che ne costituiscono il fondamento giustificativo, sicché alcuna alternativa sul piano decisionale si poneva all’Amministrazione procedente.

Dirimente in senso ostativo alle pretese attoree, peraltro, appaiono le previsioni di cui all’art. 21 octies della legge 241/1990, secondo cui “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Alcun pregio hanno, poi, le ulteriori censure con cui parte ricorrente, mediante argomentazioni generiche, lamenta l’inadeguatezza dell’istruttoria condotta dal Comune intimato e l’insufficienza del corredo motivazionale dell’atto impugnato.

Sul punto, è sufficiente osservare che alcun dubbio residua sulla completezza delle risultanze istruttorie acquisite dal Comune attraverso i propri organi, di cui vi è indiretta conferma nella stessa mancanza di una contestazione, in fatto, sulla natura degli abusi accertati.

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Risulta, invero, acquisito agli atti di causa – siccome nemmeno fatto oggetto di contestazione – che la ricorrente ha realizzato, in assenza dei prescritti titoli abilitativi, un “…balcone di m. 1,30 X 7,00 previa trasformazione della preesistente finestra in un vano di accesso allo stesso”.”.

Anche sul piano della qualificazione giuridica dell’illecito ritiene il Collegio che l’inserimento di un balcone, in ragione dell’incremento di superficie (ancorché accessoria) che comporta e, comunque, per effetto della modifica dei prospetti, non può che qualificarsi come intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi degli artt.3, c. 1, lett. d) e 10, c.1, lett. c) del T.U. 6 giugno 2001, n. 380, non potendo viceversa configurarsi un mero intervento di manutenzione (Consiglio di Stato, sez. VI, 04/10/2011 n. 5431; T.A.R. Napoli, (Campania), sez. VII, 07/06/2012, n. 2717).

Appare, dunque, pienamente giustificata l’applicazione della sanzione demolitoria.

In presenza di un intervento edilizio realizzato in assenza del prescritto titolo abilitativo – nella specie e, per le ragioni suddette, il permesso di costruire – l’ordine di demolizione costituisce atto dovuto mentre la possibilità di non procedere alla rimozione delle parti abusive quando ciò sia di pregiudizio alle parti legittime costituisce solo un’eventualità della fase esecutiva, subordinata alla circostanza dell’impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 15 luglio 2010 , n. 16807; sez. VII n. 1624 del 28.3.2008).

In considerazione delle divisate emergenze processuali si rivela immune dalle censure attoree l’ordito motivazionale in cui impinge il provvedimento impugnato, manifestamente idoneo ad evidenziare la consistenza degli abusi in contestazione e la ineluttabilità della sanzione ripristinatoria comminata.

Nel modello legale di riferimento non vi è, infatti, spazio per apprezzamenti discrezionali, atteso che l’esercizio del potere repressivo mediante applicazione della misura ripristinatoria costituisce atto dovuto, per il quale è “in re ipsa” l’interesse pubblico alla sua rimozione (cfr. T.A.R. Campania Napoli, sez. VI, 26 agosto 2010, n. 17240). D’altro canto, è ius receptum in giurisprudenza il principio secondo cui, una volta accertata l’esecuzione di opere in assenza di concessione ovvero in difformità totale dal titolo abilitativo, non costituisce onere del Comune verificare la sanabilità delle opere in sede di vigilanza sull’attività edilizia (T.A.R. Campania, Sez. IV, 24 settembre 2002, n. 5556; T.A.R. Lazio, sez. II ter, 21 giugno 1999, n. 1540): l’atto può ritenersi sufficientemente motivato per effetto della stessa descrizione dell’abuso accertato, presupposto giustificativo necessario e sufficiente a fondare la spedizione della misura sanzionatoria qui in rilievo.

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il ricorso va respinto siccome infondato.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in € 3.000,00 (tremila/00), oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Napoli nella camera di 2017 consiglio del giorno 22 novembre