URBANISTICA – SENTENZA CORTE DI CASSAZIONE Sezione penale 3 N.12388 anno 2020

Argomento: Permesso di costruzione e Autorizzazione paesaggistica.

Urbanistica

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
B.G., nata a S. il ………..
avverso la sentenza del 15/10/2018 della Corte di appello di Lecce
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonella Di Stasi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Roberta Maria Barberini, che ha concluso chiedendo la declaratoria di
inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputata l’avv. Vincenzo Blandolino che ha concluso chiedendo l’estinzione del reato e riportandosi ai motivi di ricorso.
Penale Sent. Sez. 3 Num. 12388 Anno 2020
Presidente: DI NICOLA VITO
Relatore: DI STASI ANTONELLA
Data Udienza: 11/02/2020
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO

  • Con sentenza del 15/10/2018, la Corte di appello di Lecce confermava la sentenza del Tribunale di Lecce in data 01/07/2015, con la quale B.G. era stata dichiarata responsabile del reato di cui all’art. 44 lett. c) d.P.R. n. 380/2001 – per aver eseguito opere edilizie in assenza di titolo edilizio e della necessaria autorizzazione paesaggistica – e condannata alla pena di mesi sei di arresto ed euro 45.000,00 di ammenda.
  • Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione B.G., a mezzo del difensore di fiducia, articolando quattro motivi di seguito enunciati.
  • Con il primo motivo deduce violazione dell’art. 495, comma 4, cod.proc.pen. e correlato vizio di motivazione.
  • Argomenta che il Tribunale, all’udienza del 1.7.2015, su un paventato accordo tra le parti, aveva acquisito il materiale probatorio presente nel fascicolo del pubblico ministero, ma a differenza dell’accordo che era subordinato all’ascolto del teste comune (Contaldo) e degli ulteriori testi della difesa, aveva revocato l’ordinanza ammissiva della prova testimoniale difensiva con conseguente lesione del diritto di difesa;
  • la difesa all’atto della pronuncia della ordinanza di revoca aveva sollevato la relativa eccezione che, poi, aveva reiterato nei motivi di appello;
    la Corte territoriale non aveva fornito alcuna motivazione in ordine a detto profilo di censura, nel mentre l’ordinanza di revoca della lista testimoniale era nulla perché priva di adeguata motivazione in ordine alla valutazione di superfluità richiesta dall’art. 495, comma 4, cod.proc.pen.
  • Con il secondo motivo deduce violazione di legge e correlato vizio di motivazione, lamentando che la Corte territoriale aveva disatteso la richiesta di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale senza fornire motivazione in merito.
    Con il terzo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’affermazione di responsabilità, lamentando che la Corte territoriale aveva escluso che l’attività edilizia posta in essere rientrasse nelle categorie della manutenzione straordinaria e del risanamento conservativo, ritenendo con erronea valutazione della documentazione anche fotografica acquisita, che non vi era prova né della esistenza del vecchio fabbricato né della sua consistenza.
    Con il quarto motivo deduce violazione degli artt. 133 e 62- bis cod.pen., lamentando che la Corte territoriale aveva negato l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche ritenendo insufficiente il mero stato di incensuratezza dell’imputata, senza, però, esplicitare e valutare specificamente gli elementi ritenuti negativi ed ostativi alla richiesta di concessione.
    Chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata.
  • CONSIDERATO IN DIRITTO
    1.11 primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
    Va ricordato che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, è viziata da nullità relativa l’ordinanza con la quale il giudice abbia revocato il provvedimento di ammissione dei testi della difesa in difetto di motivazione sul necessario requisito della loro superfluità, integrando una violazione del diritto della parte di “difendersi provando”, stabilito dal comma secondo dell’art. 495 cod.
    proc. pen., corrispondente al principio della “parità delle armi” sancito dall’art. 6, comma terzo, lett. d), della CEDU, al quale si richiama l’art. 111, comma secondo, della Costituzione in tema di contraddittorio tra le parti.
    Ne consegue che una siffatta nullità deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’art. 182 comma 2, cod.proc.pen., con la conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata.
    Infatti, il disposto dell’art. 180 cod.proc.pen., secondo cui la nullità di ordine generale verificatasi nel corso del giudizio è deducibile dalla parte, dopo la deliberazione della sentenza del grado successivo, trova un limite nel disposto dell’art. 182 comma 2, cod.proc.pen.,_il quale prevede una eccezione alla regola della deducibilità appena illustrata, con riferimento al caso in cui la parte assista al compimento dell’atto nullo. Per tale ipotesi è sancito che la parte, se non può eccepire la nullità prima del compimento dell’atto stesso, deve farlo immediatamente dopo (Cfr.Sez.5, n.2511 del 24/11/2016, dep.18/01/2017, Rv.269050; Sez.6,n.53823 del 05/10/2017, Rv.271732; Sez.5, n.51522 del 30/09/2013, Rv.257892; Sez. 5, n.18351 del 17/02/2012, Rv. 252680, Sez.3, n.8159 del 26/11/2009, dep.02/03/2010, Rv.246255).
    Nel caso di specie, come evincibile dagli atti processuali e già rilevato dalla Corte territoriale, il difensore dell’imputata era presente all’udienza del giudizio di primo grado del 1.07.2015, nel corso della quale veniva revocata l’ordinanza ammissiva della prova testimoniale, ma non formulava l’eccezione di nullità e all’esito della discussione concludeva nel merito (cfr verbale di udienza del
    6.4.2012: “assoluzione e n.d.p.2); ai sensi dell’art.182, comma 2, cod.proc.pen. laparte pregiudicata, presente all’atto era tenuta, invece, a pena di decadenza, ad eccepire la nullità immediatamente dopo il compimento dell’atto nullo.
    La doglianza, dunque, risulta tardivamente proposta ed è, quindi,
    inammissibile per intervenuta decadenza e conseguente sanatoria della nullità.
  • Il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
    La rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello è evenienza eccezionale, subordinata ad una valutazione giudiziale di assoluta necessità.
    La rinnovazione del dibattimento, infatti, postula una deroga alla presunzione di completezza della indagine istruttoria svolta in primo grado ed ha caratteristica di istituto eccezionale, nel senso che ad essa può farsi ricorso quando appaia assolutamente indispensabile, cioè nel solo caso in cui il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez.2,n.8106 del 26/04/2000, Rv.216532; Sez.2, n. 3458 del 01/12/2005,dep.27/01/2006, Rv.233391; Sez. 2, 15/05/2013, n. 36630; Sez. 2, 27/09/2013, n. 41808) .
    Il giudice d’appello, inoltre, ha l’obbligo di disporre la rinnovazione del dibattimento solo quando la richiesta della parte sia riconducibile alla violazione del diritto alla prova, non esercitato non per inerzia colpevole, ma per forza maggiore o per la sopravvenienza della prova dopo il giudizio, o quando la sua ammissione sia stata irragionevolmente negata dal giudice di primo grado.
    In tutti gli altri casi, la rinnovazione del dibattimento è rimessa al poterediscrezionale del giudice, il quale è tenuto a dar conto delle ragioni del rifiuto quanto meno in modo indiretto, dimostrando in positivo la sufficiente consistenza e la assorbente concludenza delle prove già acquisite (Sez. 2, n. 45739 del 04/11/2003, Rv. 226977).
    Il provvedimento di rigetto della richiesta di rinnovazione istruttoria in appello, infatti, può essere motivato anche implicitamente in presenza di un quadro probatorio definito, certo e non abbisognevole di approfondimenti indispensabili,
    (Sez.6, n.11907 del 13/12/2013, dep.12/03/2014, Rv.259893;Sez.4, n.47095 del02/12/2009, Rv.245996).
    Tanto è avvenuto nella specie con conseguente infondatezza della censurasollevata.
  • Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
    La Corte territoriale ha ritenuto integrato il reato urbanistico evidenziando come le opere realizzate – fabbricato delle dimensioni planimetriche interne di m.5,65×4,75 e altezza media di m 2,50, gabbiotto delle dimensioni di m 1,65×1,30 con altezza da terra all’estradosso di m 2,50 e nicchia delle dimensioni di m 0,76×0,52 e con altezza da terra di m1,83 – non potevano qualificarsi come intervento di ristrutturazione ma si connotavano quale vera e propria costruzione determinante un alterazione urbanisticamente rilevante dello stato dei luoghi e, come tale, necessitante del previo rilascio del permesso di costruire.
    Va osservato che l’attività edilizia concretamente realizzata non può
    certamente ricondursi alla categoria della “manutenzione straordinaria”, che non può comportare aumento della superficie utile o del numero delle unità immobiliari, ne’ modifica della sagoma o mutamento della destinazione d’uso, in quanto il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 3, comma 1, – lett. b)- con definizione già fornita dalla L. n.457 del 1978, art. 31, comma 1, – lett. b)- ricomprende in tale nozione “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare o sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare e integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari e non comportino modifiche delle destinazioni d’uso”. La legge pone, dunque, un duplice limite: uno, di ordine funzionale, costituito dalla necessità che i lavori siano rivolti alla mera sostituzione o al puro rinnovo di parti dell’edificio, e l’altro, di ordine strutturale, consistente nel divieto di alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari o di mutare la loro destinazione.
  • Nella fattispecie in esame, invece, risulta accertato in punto di fatto che è stato posto in essere una evidente edificazione ex novo.
    Né l’opera realizzata, in considerazione delle caratteristiche appena
    evidenziate, può rientrare nella categoria degli “interventi di restauro o di risanamento conservativo”, per i quali non occorre il permesso di costruire, in quanto nella stessa sono annoverabili soltanto le opere di recupero abitativo, che mantengono in essere le preesistenti strutture, alle quali apportano un consolidamento, un rinnovo o l’inserimento di nuovi elementi costitutivi, a condizione che siano complessivamente rispettate tipologia, forma e struttura dell’edifico(Sez.3, n.16048 del 21/04/2006, Rv.234265; Sez.3, n.1978 del 18/06/2014, dep.16/01/2015, Rv.2620022;Sez.3, n.6873 del 08/09/2016, dep.14/02/2017, Rv.26915).
    Né assume rilievo la deduzione difensiva che sul luogo della edificazione esistesse “un rudere”, in quanto i Giudici di merito hanno rimarcato che non risultava fornita la prova né dell’esistenza del vecchio fabbricato né della sua consistenza, che sarebbe dovuta rimanere inalterata nella sagoma e nel volume.
    Va ricordato che questa Corte ha affermato che integra i reati di cui agli artt. 44 del d.P.R. n. 380 del 2001 e 181 del d.lgs. n. 42 del 2004 la ricostruzione di un “rudere” senza il preventivo rilascio del permesso di costruire e dell’autorizzazione paesaggistica, sia perchè trattasi di intervento di nuova costruzione e non di ristrutturazione di un edificio preesistente, dovendo intendersi per quest’ultimo un organismo edilizio dotato di mura perimetrali, strutture orizzontali e copertura, sia perchè non è applicabile l’art. 30 del D.L. n. 69 del 2013 (conv. in legge n. 98 del 2013), che, per assoggettare gli interventi di ripristino o di ricostruzione di edifici o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, al regime semplificato della S.C.I.A. richiede, nelle zone vincolate, l’esistenza dei connotati essenziali di un edificio (pareti, solai e tetto), o, in alternativa, l’accertamento della preesistente consistenza dell’immobile in base a riscontri documentali, alla verifica dimensionale del sito o ad altri elementi certi e verificabili, nonchè, in ogni caso, il rispetto della sagoma della precedente struttura (Sez.3, n.40342 del 03/06/2014
    Rv.260552 – 01).
  • Il quarto motivo di ricorso è manifestamente infondato.
    Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’applicazione delle circostanze attenuanti generiche non costituisce un diritto conseguente all’assenza di elementi negativi connotanti la personalità del soggetto, ma richiede elementi di segno positivo, dalla cui assenza legittimamente deriva il diniego di concessione delle circostanze in parola; l’obbligo di analitica motivazione in materia di circostanze attenuanti generiche qualifica, infatti, la decisione circa la sussistenza
    delle condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez.1, n. 3529 del 22/09/1993, Rv. 195339; Sez.6, n.42688 del 24/09/2008, Rv.242419; Sez. 2, n. 38383 del 10.7.2009, Squillace ed altro, Rv. 245241; Sez.3,n. 44071 del 25/09/2014, Rv.260610).
  • Va, quindi, ribadito il principio che, in caso di diniego, soprattutto dopo la specifica modifica dell’art. 62 bis c.p. operata con il D.L. 23 maggio 2008, n. 2002 convertito con modif. dalla L. 24 luglio 2008, n. 125 che ha sancito essere l’incensuratezza dell’imputato non più idonea da sola a giustificarne la concessione, è assolutamente sufficiente che il giudice si limiti a dar conto – come avvenuto nella specie – , di avere ritenuto l’assenza di elementi o circostanze positive a tale fine (Sez.3, n.44071 del 25/09/2014, Rv.260610; Sez. 1,n.39566 del 16/02/2017, Rv.270986).
  • Va, infine, evidenziato quanto alla documentazione prodotta dal ricorrente alla presente udienza che, nel giudizio di legittimità, possono essere prodotti esclusivamente i documenti che l’interessato non sia stato in grado di esibire nei precedenti gradi di giudizio, sempre che essi non costituiscano “prova nuova” e non comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici di merito (Sez.2 n.42052 de119/06/2019, Rv.277609 – 01 • ., Sez.2,.1417 del 11/10/2012,dep.11/01/2013, Rv.254302 – 01); in ogni caso la documentazione prodotta non ha attinenza con il decisum in quanto è relativa a permesso di costruire in sanatoria inerente opere di manutenzione straordinaria e recupero conservativo, la cui configurabilità, nella specie, è stata esclusa dai giudici di merito.
  • Essendo il ricorso inammissibile e, in base al disposto dell’art. 616 cod.
    proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, indicata in dispositivo.
    P.Q.M.
    Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila a favore della Cassa delleammende.
    Così deciso il 11/02/2020