LA RINUNCIA ALL’EREDITA’

Un erede può decidere di non accettare l’eredità destinatagli, manifestandolo espressamente. La rinuncia all’eredità deve farsi con dichiarazione, resa al notaio o al cancelliere del Tribunale competente (cioè il Tribunale dell’ultimo domicilio del defunto), entro tre mesi dalla morte se si è nel possesso dei beni o entro dieci anni se non si è nel possesso dei beni e non ha effetto se non è osservata la forma prescritta.
La rinuncia presuppone la morte della persona della cui eredità si tratta, cioe l’apertura della successione. Viene effettuata generalmente quando l’eredità è gravata da debiti per non dovervi rispondere e in tal caso dovrà essere effettuata anche da tutti i discendenti del rinunciante.

Può essere fatta anche per agevolare altri coeredi con un unico passaggio di proprietà qualora l’eredità sia attiva. La rinuncia non può essere parziale, né condizionata, né a termine.

La normativa di riferiemento sono gli Artt. 519 e ss. c.c. Può essere effettuata dagli eredi e, nel caso di minori, interdetti, inabilitati e persone giuridiche, chi li rappresenta. Al rinunciante subentrano i discendenti in rappresentazione art .467 c.c.

Un erede che desidera rinunciare a un immobile fatiscente oppure già condiviso con altri eredi, per evitare spese oppure di dover far fronte ai debiti del defunto, può ricorrere alla rinuncia, che non potrà mai essere parziale sul compendio mobiliare o immobiliare del defunto. L’accettazione o rinuncia di un’eredità, infatti, è totale e può essere revocata solo se altri non hanno già accettato.

L’articolo 520 del Codice civile in merito: «La rinunzia all’eredità deve essere semplice e totale, e non può essere parziale, né condizionata, né a termine». Questo significa che l’erede chiamato deve accettare o rinunciare all’intero patrimonio, senza poter limitare la rinuncia a specifici beni o porre condizioni. La giurisprudenza sostiene costantemente questo principio. Ad esempio, la Corte d’Appello di Brescia, con sentenza n. 246/2023, ha ribadito che «la rinunzia all’eredità, ai sensi dell’art. 519 c.c., deve avvenire tramite una dichiarazione ufficiale, ricevuta da un pubblico ufficiale e registrata nel registro delle successioni. Qualsiasi condizione o limite apportato rende la rinuncia nulla, e non è permessa una rinuncia parziale (ex art. 520 c.c.)». Nel caso in cui si sospetti che l’eredità sia gravata da debiti superiori al suo valore, ma si desideri comunque conservare i beni del defunto, l’opzione disponibile è l’accettazione con beneficio di inventario. Questa permette di accettare e rispondere delle obbligazioni del defunto solo entro il valore dei beni ereditati. I creditori, quindi, potranno agire solo sui beni ereditati e non su quelli personali dell’erede.

L’inventario deve essere completato entro tre mesi dalla dichiarazione di accettazione, altrimenti l’erede sarà considerato puro e semplice. Tuttavia, l’accettazione con beneficio di inventario potrebbe essere inutile se l’eredità include un immobile che genera solo spese. I debiti relativi all’immobile, come l’IMU o le ristrutturazioni, diventano obblighi degli eredi, non più del de cuius, in quanto sorgono dopo la morte. Pertanto, gli eredi ne risponderanno solidalmente con tutto il loro patrimonio, comprese le proprietà personali. Se il patrimonio ereditario non offre vantaggi significativi, potrebbe essere più conveniente procedere con la rinuncia totale all’eredità.

Per la rinuncia occorrono:

– certificato di morte in carta libera (o autocertificazione);
– 1 marca da bollo da € 16,00;
– documento valido di riconoscimento;
– codice fiscale del defunto e del rinunciante (anche se minore/interdetto/inabilitato o sottoposto ad amministrazione di sostegno);
– copia conforme del testamento (qualora esista);
– versamento per la registrazione di € 200,00 da effettuarsi solo dopo la redazione dell’atto.

Se per minore/interdetto/inabilitato o sottoposto ad amministrazione di sostegno è necessaria una copia conforme dell’autorizzazione del Giudice Tutelare.