LA MANCATA ESPOSIZIONE DEL CARTELLO IN CANTIERE E LE RESPONSABILITA’ PENALI SECONDO LA CASSAZIONE

Arrivano i chiarimenti della Corte di Cassazione sulla violazione dell’obbligo di esposizione del cartello di cantiere in caso di opere soggette a SCIA.

cartello di cantiere

L’obbligo di esposizione del cartello si rivolge, oltre che al titolare del permesso di costruire, al costruttore e direttore dei lavori, anche al committente, essendo detti soggetti responsabili, stante il principio ricavabile dall’art. 29, comma 1, D.P.R. 380/2001, di conformarsi alle previsioni urbanistiche ed esecutive risultanti dalla normativa, dalla pianificazione e dal titolo edilizio.
Ne consegue che il committente-proprietario, autonomamente responsabile per legge, non può legittimamente abdicare al proprio obbligo di osservanza semplicemente facendo leva sul fatto di avere affidato i lavori e persona esperta e competente come appunto il direttore dei lavori, non essendo tale solo fatto sufficiente a far venire meno la culpa in vigilando incombente sul committente stesso (v. C. Cass. pen. 22/09/2015, n. 38380; C. Cass. pen. 11/07/2013, n. 29730), sono questi i principi ribaditi e chiariti dalla Corte di Cassazione.

Nel caso di specie il ricorrente contestava la condanna per omessa esposizione del cartello di cantiere con riferimento alla realizzazione di un’opera assentibile mediante SCIA. In particolare sosteneva che il regolamento comunale, pur disciplinando l’obbligo di collocazione del cartello, non contemplava espressamente la SCIA quale titolo abilitante connesso a tale obbligo. Evidenziava inoltre la sua qualità di mero committente dei lavori, per i quali si era affidato a professionisti del settore.

La Corte di Cassazione Penale con la Sentenza n.31356 del  10/08/2021, ha ricordato che, secondo la giurisprudenza, la violazione dell’obbligo di esporre il cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto dal regolamento edilizio, è punita dall’art. 44, D.P.R. 380/2001, comma 1, lett. a), ed è configurabile indipendentemente dal fatto che l’intervento edilizio sia assoggettato a permesso di costruire oppure a SCIA. Secondo la Corte infatti la fattispecie penale residuale contenuta nella citata lett. a) (salva l’ipotesi dei lavori in parziale difformità) si riferisce a qualsiasi tipo di inosservanza delle previsioni normative, di pianificazione e regolamentari, non richiedendo che per l’intervento sia previsto il permesso di costruire (o una SCIA ad esso alternativa) piuttosto che una semplice SCIA.
Ne consegue che la violazione penale sussiste ogni qual volta il regolamento edilizio preveda l’apposizione del cartello, anche se il titolo rilasciato non sia il permesso di costruire.

LA SENTENZA

La violazione dell’obbligo di esporre il cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal titolo medesimo, è tutt’ora punita dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), se commessa dal titolare del titolo abilitativo, dal committente, dal costruttore o dal direttore dei lavori, essendo detti soggetti responsabili, giusto il principio ricavabile dall’art. 29, comma 1, T.U.E., rispetto all’obbligo di conformarsi alle previsioni urbanistiche ed esecutive risultanti dalla normativa, dalla pianificazione, dal titolo edilizio.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 26 giugno 2020 il tribunale di Siena dichiarava Doretti Andrea non punibile in relazione al reato di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, per particolare tenuità del fatto, art. 27, lett. e) e art. 44, lett. a).

2. Avverso la predetta sentenza Doretti Andrea propone, mediante il proprio difensore, ricorso per cassazione” sollevando quattro motivi di impugnazione.

3. Con il primo, deduce il vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b). Rappresenta che l’opera realizzata sarebbe soggetta soltanto a Scia D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 22, comma 1, lett. c) e rispetto a tale titolo il regolamento comunale di riferimento non sancirebbe l’obbligo di apposizione del cartello di cantiere, come contestato e ritenuto in sentenza. Più precisamente, il regolamento comunale non contemplerebbe in alcun modo la Scia.

4. Con il secondo motivo, deduce il vizio ex art. 606 comma 1 lett. b) c.p.p. per inosservanza o erronea applicazione dell’art. 5 c.p., rappresentando la sussistenza di un errore di diritto ex art. 47 comma 3 c.p., alla luce della qualifica di mero committente del ricorrente, che si sarebbe affidato a professionisti del settore, e del sopra prospettato costrutto normativo che, secondo il giudice, avrebbe imposto all’imputato di conformarsi all’obbligo di apposizione del cartello alla luce del combinato disposto di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 e art. 58 del regolamento edilizio del Comune di Monteroni d’Arbia. Nel quale Regolamento non si contemplerebbe espressamente la Scia quale titolo abilitante l’attività edilizia cui è connesso l’obbligo di apposizione del cartello di cantiere. Emergerebbe, quindi, una norma penale in bianco integrata da norma erxtrapenale, in cui non sarebbe dato reperire, con chiarezza, la previsione di un obbligo di apposizione del cartello citato anche in caso di Scia.

5. Con il terzo motivo, rappresenta il vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), in relazione all’art. 191 c.p.p., art. 441 c.p.p., comma 5, art. 526 c.p.p., contestandosi l’acquisizione, operata dal giudice, del regolamento comunale suindicato, poi considerato ai fini della ricostruzione del paradigma normativo violato, trattandosi di un atto amministrativo acquisito al di fuori di ogni regola, in assenza di vaglio delle parti in contraddittorio. Invero, si osserva come il predetto regolamento non rientrasse tra gli atti del fascicolo del P.M., e tale mancanza avrebbe imposto al giudice di acquisire il predetto atto anche d’ufficio, nel contraddittorio delle parti, invece di consultarlo, come fatto, sul sito internet del comune successivamente alla discussione delle parti. Da qui l’inutilizzabilità del regolamento.

6. Con il quarto motivo deduce il vizio ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), per inosservanza o erronea applicazione degli artt. 521 e 522 c.p.p., per intervenuta affermazione della responsabilità penale per un fatto diverso rispetto a quello originariamente contestato. Si osserva che la contestazione iniziale si articolava sul combinato disposto di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, artt. 27 e 44, mentre invece dalla motivazione emerge che la responsabilità dell’imputato sarebbe fondata sul combinato disposto di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 e art. 58 del regolamento del comune di Monteroni d’Arbia, rispetto al quale e al diverso fatto configurato l’imputato non è stato posto in condizione di difendersi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo è infondato. Va preliminarmente rilevato che l’art. 58 del regolamento edilizio del Comune di Monteroni d’Arbia espressamente stabilisce che il titolare di concessione od attestazione di conformità deve, tra l’altro, al momento dell’inizio dei lavori, collocare sul luogo dei medesimi un cartello a caratteri ben visibili indicante:

– le opere in corso di realizzazione;

– la natura dell’atto abilitante all’esecuzione delle opere e gli estremi del medesimo;

– il nominativo del titolare dell’atto abilitante;

– il nominativo del progettista;

– il nominativo del direttore dei lavori;

– il nominativo dell’esecutore dei lavori;

– il nominativo del calcolatore delle strutture (ove prescritto);

– il nominativo del direttore dei lavori delle strutture (ove prescritto);

– il nominativo del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione (ove prescritto);

– il nominativo del coordinatore per la sicurezza in fase di esecuzione (ove prescritto);

– ogni altro dato o nominativo previsto da norme vigenti.

Inoltre, l’art. 6 del medesimo regolamento include, tra le opere ricondotte alla cd. “attestazione di conformità”, quelle di ristrutturazione edilizia, tipologia che nel caso in esame è espressamente citata nel capo di imputazione, seppure in correlazione con una “Scia” che, evidentemente, deve intendersi espressione della evoluzione anche nominalistica, verificatasi nel tempo, degli originari titoli edilizi abilitativi. Senza, tuttavia, che allo stato delle fonti disponibili, e in assenza di una espressa deroga, possa escludersi che permanga l’obbligo di apposizione del cartello di cui al citato art. 58 in rapporto all’intervento edile sopra citato, pur a fronte di richiami a titoli edilizi ormai sostituiti con nuove terminologie. Diversamente, l’art. 58 citato, riferito ad ormai obsolete citazioni nominalistiche (a partire dalla concessione) non troverebbe, immotivatamente, alcuna applicazione. Dovendosi quindi, di converso, valorizzare le tipologie di intervento correlate a tali originarie nozioni che siano ancor oggi connesse comunque a titoli abilitativi, come la Scia del caso in esame, seppure di nuovo conio.

Va aggiunto, peraltro, che questa corte ha anche precisato, diversamente da quanto sostenuto in ricorso, che la violazione dell’obbligo di esporre il cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto dal regolamento edilizio, è punita dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 1, lett. a) ed è configurabile indipendentemente dal fatto che l’intervento edilizio sia assoggettato a permesso di costruire oppure a s.c.i.a (Sez. 3 -, Sentenza n. 43698 del 12/06/2019 Rv. 277986 – 01). Infatti, la violazione penale sussiste ogni qual volta il regolamento edilizio preveda – e la questione è sul punto condivisa dalla difesa – l’apposizione del cartello, anche se il titolo rilasciato non sia il permesso di costruire. Difatti, soltanto le ipotesi di reato contenute nell’art. 44, comma 1, lett. b) e c), T.U.E. – salva la diversa fattispecie di lottizzazione abusiva prevista da tale ultima disposizione – si riferiscono esclusivamente allo svolgimento di lavori in assenza o in totale difformità o variazione essenziale dal permesso di costruire e, nel caso di opere assoggettate al regime della s.c.i.a., queste sono state a quelle parificate nei limiti in cui si tratti di titolo alternativo al permesso ai sensi dell’art. 23, comma 01, T.U.E. (cfr. art. 44, comma 2, T.U.E.). La fattispecie penale residuale di cui alla lett. a), salva l’ipotesi dei lavori in parziale difformità (pure questa limitata al solo caso in cui il titolo sia quello del permesso di costruire), si riferisce invece a qualsiasi tipo di inosservanza delle previsioni normative, di pianificazione e regolamentari, indipendentemente dal fatto che si tratti d’intervento assoggettato a permesso di costruire (o a s.c.i.a. ad esso alternativa) piuttosto che a semplice s.c.i.a. (cfr. Sez. 3, n. 9894 del 20/01/2009, Tarallo, Rv. 243099). Se, dunque, il regolamento edilizio prevede l’apposizione del cartello anche per opere assoggettate alla semplice s.c.i.a., l’inosservanza della disposizione integra gli estremi della contravvenzione in parola.

Va aggiunto che la violazione dell’obbligo di esporre il cartello indicante gli estremi del titolo abilitativo, qualora prescritto dal regolamento edilizio o dal titolo medesimo, è tutt’ora punita dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. a), se commessa dal titolare del titolo abilitativo, dal committente, dal costruttore o dal direttore dei lavori (Sez. 3, n. 29730 del 04/06/2013, Stroppini e aa., Rv. 255836), essendo detti soggetti responsabili, giusto il principio ricavabile dall’art. 29, comma 1, T.U.E., rispetto all’obbligo di conformarsi alle previsioni urbanistiche ed esecutive risultanti dalla normativa, dalla pianificazione, dal titolo edilizio.

2. Le considerazioni da ultimo esposte evidenziano la manifesta infondatezza anche del secondo motivo. Tanto più a fronte della insussistenza di uno dei dati individuati dal ricorrente a sostegno della teoria difensiva inerente la sussistenza di un errore ex art. 47 c.p., comma 3, quale la mancanza di un costrutto normativo impositivo, per l’imputato, dell’obbligo di conformarsi all’apposizione del cartello alla luce del combinato disposto di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44 e art. 58 del regolamento edilizio del Comune di Monteroni d’Arbia.

3. Quanto al terzo motivo, inerente la violazione dell’art. 191 c.p.p., art. 441 c.p.p., comma 5, art. 526 c.p.p., riguardante la contestata acquisizione, operata dal giudice, del regolamento comunale, è manifestamente infondato. Come è stato precisato da questa Suprema Corte, il principio iura novit curia, che eleva a dovere di ufficio la ricerca del “diritto”, lasciando sempre a carico delle parti la prova del “fatto”, trova un suo limite nelle sole vere e proprie fonti di diritto oggettivo di cui all’art. 1 preleggi, e quindi a precetti contrassegnati dal duplice connotato della normatività e della giuridicità; con esclusione sia di quelli aventi carattere normativo, ma non giuridico (come le regole della morale o del costume), sia di quelli aventi carattere giuridico, ma non normativo (come gli atti di autonomia privata, o gli atti amministrativi) o la cui normativa è puramente interna (come gli statuti degli enti o i regolamenti interni (Sez. civ. 3 -, Ordinanza n. 34158 del 20/12/2019 Rv. 656335 – 02; Cass. 17.5.1976, n. 1742). Si è anche precisato, quanto ai regolamenti (Cass. civ. Sez. 3, n. 6933 del 05/07/1999 Rv. 528289 – 01; Cass. S.U. 28.11.1994,n. 10124), che essi sul piano contenutistico si distinguono dagli atti e dai proVvedimenti amministrativi in quanto questi ultimi costituiscono espressione di una semplice potestà amministrativa e sono diretti alla cura concreta di interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili; i regolamenti, invece, sono espressione di una potestà normativa attribuita all’amministrazione e secondaria rispetto a quella legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma egualmente innovativa rispetto all’ordinamento giuridico esistente, con precetti che presentano appunto i caratteri della generalità ed astrattezza. Rientrano quindi tra le fonti di diritto oggettivo di cui all’art. 1 prima citato.

Con particolare riferimento al regolamento comunale, esso si inquadra in quelli, tra le fonti oggettive del diritto, propri di enti pubblici non statali, e rimanda alle disp. gen. con particolare riferimento ai regolamenti ” di altre autorità ” (distinte come tali dal Governo) disciplinati da “leggi particolari”.

Consegue che il giudice, in applicazione del predetto principio di cui al citato brocardo ha, doverosamente e correttamente, rinvenuto la normativa applicabile al caso concreto senza procedere ad alcuna acquisizione probatoria in violazione dell’art. 441 c.p.p., comma 5.

4. Inammissibile è anche l’ultimo motivo, atteso che per quanto osservato nell’esaminare il primo motivo dedotto, la condanna è intervenuta in ordine al medesimo fatto in contestazione, rispetto al quale il ricorrente ha avuto modo di difendersi, riguardante l’effettuazione di interventi edilizi di ristrutturazione senza esporre il cartello di cantiere, laddove il richiamo al regolamento comunale rientra nel doveroso compito del giudice di rinvenire le fonti di diritto oggettivo applicabili. Ed invero, come noto, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, deve aversi riguardo al mutamento del fatto più che all’indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia descritto in modo puntuale, la mancata o erronea individuazione degli articoli di legge violati è irrilevante e non determina nullità, salvo che non si traduca in una compressione dell’esercizio del diritto di difesa (Sez. 1 -, n. 30141 del 05/04/2019 Rv. 276602 – 01), insussistente nel caso in esame. Occorre, in altri termini, una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione, da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa (cfr. Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010 Rv. 248051 – 01 Carelli).

5. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 10 giugno 2021.